Nell’Europa vedova del gas russo la Moldavia paga il prezzo più alto. Risolvere la crisi energetica per superare la dipendenza da Mosca. Crollate le garanzie sul secessionismo, Tiraspol può tornare da Chisinau.
All’alba del 1° gennaio 2025, Gazprom ha interrotto le forniture di gas naturale verso la Moldavia. Una decisione che ha a che fare tanto con il prolungarsi del conflitto russo-ucraino, che ha portato alla fine dell’accordo di transito tra i due paesi, quanto con i rapporti di forza tra Mosca e Chișinău, che in gran parte si giocano proprio sull’irrisolta questione energetica.
Nel primo ventennio di storia post-sovietica la stabilità politica della Moldavia dipendeva in gran parte dalle risorse naturali russe e dalle infrastrutture presenti in Transnistria. Gazprom trasportava le forniture di gas naturale dalla Russia all’autoproclamata repubblica secessionista, dove la gestione di esse era affidata alla compagnia satellite Moldovangaz, che di fatto serviva gli interessi di Tiraspol (e quindi del Cremlino). Una volta arrivato, il gas veniva sfruttato in tre diversi modi. La maggior parte veniva trasferita nel resto del paese, coprendone l’intero fabbisogno. Un’altra quota veniva trasformata in energia elettrica attraverso la centrale di Cuciurgan (la più grande del paese), sotto il controllo delle autorità transnistriane. E infine, la restante porzione riforniva a titolo gratuito il territorio della Transnistria, consentendo alla popolazione condizioni di vita altrimenti irraggiungibili. L’obiettivo di questo intricato sistema era semplice: ridurre al minimo l’autonomia energetica della Moldavia e rifornire il secessionismo della Transnistria. Il tutto era reso possibile dall’eredità strutturale dell’epoca sovietica, che sulla sponda sinistra del fiume Dnestr aveva concentrato l’industria pesate del paese.
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, il governo moldavo ha intrapreso la strada della diversificazione energetica. La presidente Maia Sandu ha stretto accordi con i governi di Romania, Bulgaria, Grecia e Ungheria, avvicinando il paese ad un’integrazione euro-balcanica e allontanandolo sempre di più da Mosca. Ad esempio, l’ingresso nel “corridoio verticale” ha collegato il paese al terminale di Alessandropoli, aprendo un canale diretto con il Mar Mediterraneo e, potenzialmente, anche con gli Stati Uniti. Passi importanti ma non definitivi perché, ancor prima di ricevere il gas, la Moldavia avrebbe bisogno di nuove infrastrutture costruite sul proprio territorio, a sud del fiume Dnestr, per avere su di esse pieno controllo politico ed economico. Controllo che andrebbe esercitato anche sulle aziende energetiche che operano nel paese; sulla Moldovangaz in particolare, di cui Chisinau detiene solo il 35% delle azioni, lasciando la restante parte al governo transnistriano (15%) e alla casa madre Gazprom (50%).
Dalle parti di Tiraspol, al contrario, la dipendenza dal gas russo è rimasta tale anche dopo il febbraio ‘22. Nonostante tutti fossero a conoscenza della situazione contrattuale tra Ucraina e Russia, destinata alla scadenza, il parlamento transnistriano non ha mai preso in considerazione l’idea della diversificazione energetica. E non gli si può di certo dare torto considerando che, insieme al contingente militare presente sul territorio, era proprio l’energia gratuita della Gazprom a tenere in vita la baracca filorussa. Un sistema in cui le infrastrutture sovietiche giocavano un ruolo determinante, soprattutto nei rapporti con i governi moldavi, ma che diventano improvvisamente inutili in assenza di rifornimenti russi. Rifornimenti che oggi non arrivano più, lasciando cadere nel gelo invernale le garanzie sulla vita dell’irredentismo transnistriano.
In questo quadro, i recenti sviluppi danno ragione alla strategia di Chișinău, mentre puniscono quella di Tiraspol. Nonostante la crisi energetica sia alle porte, la Moldavia sta riuscendo ad assicurare quantità sufficienti di gas ed energia elettrica a tutto il paese (ma non alla Transnistria), garantendo alla popolazione normali condizioni di vita. Stando alle fonti governative, la scorta dovrebbe bastare almeno per i prossimi tre mesi, quindi per tutto l’inverno, evitando di scivolare dentro all’ennesima crisi umanitaria. Dall’altro lato del fiume, invece, l’emergenza è già cominciata, a causa della totale assenza di alternative energetiche.
La Moldavia, quindi, sta fuggendo dal peggiore degli scenari, dimostrando però tutti i suoi limiti e le sue debolezze. Problemi che andranno risolti nel minor tempo possibile, se davvero vorrà emanciparsi da Mosca abbracciando Bruxelles. In primis, servono investimenti strutturali, concreti, in grado di costruire un’industria energetica sul proprio territorio, lontano dalle autorità della Transnistria. Non solo reti di distribuzione ma anche, e soprattutto, infrastrutture per la conservazione e la trasformazione del gas su cui avere pieno controllo politico. Inoltre, va sciolto il nodo della Moldovangaz in cui in assenza del gas russo viene meno il ruolo di Gazprom, e per questo potrebbe essere nazionalizzata. Non è da escludere che, se la situazione rimarrà tale, la compagnia verrà progressivamente marginalizzata a favore della statale Energocom.
Questa contingenza potrebbe anche cambiare i rapporti tra la Moldavia e la Transnistria. Secondo molti osservatori, la crisi energetica non farà che radicalizzare il conflitto tra le due parti, avvicinando ulteriormente l’autoproclamata repubblica alla Russia, che potrebbe definitivamente annetterla con modalità simili alla Crimea. Tuttavia, a guardar bene, gli atteggiamenti di Mosca sembrerebbero suggerire, al contrario, un abbandono della questione transnistriana. O per lo meno un’interruzione temporanea del coinvolgimento russo nella regione che, sfruttando la fine degli accordi di transito, avrebbe del tempo per decidere come agire, guardando anche alle risposte che arrivano dal campo. Non è da escludere per esempio che nei prossimi giorni Gazprom torni a fornire gas attraverso i condotti del Turkstream (che passano per il Mar Nero), in quantità minori rispetto al passato ma sufficienti a riaccendere la Transnistria. Un’eventualità negata nei giorni scorsi dal Cremlino, che però potrebbe facilmente tornare sui suoi passi.
In realtà, i rapporti potrebbero cambiare anche nel senso opposto, portando ad un riavvicinamento tra le autorità di Chișinău e quelle di Tiraspol. Maia Sandu ha già dichiarato di aver offerto aiuto alla Transnistria, che però fino a questo momento non ha accettato. Ma se la crisi dovesse perdurare, entrando in periodi di freddo anche più acuti, l’autoproclamato parlamento sarebbe costretto a cedere, mettendosi per la prima volta in una posizione di dipendenza totale dal governo centrale. Inoltre, spinta dalla rabbia e dalla desolazione, parte della popolazione potrebbe abbandonare il mito post-sovietico della grande madre Russia, che invece di difendere abbandona i suoi compatrioti. La gelida realtà, dunque, potrebbe superare la propaganda, dando finalmente una svolta ad una questione cruciale per il futuro del paese.
Fonte immagine: sito web ISPI (Creative Commons licence)