Partito Social Democratico

ROMANIA: L’inizio della fine per il Partito Social Democratico?

Le elezioni presidenziali in Romania hanno rivoluzionato lo scacchiere politico: il Partito Social Democratico è escluso per la prima volta dal secondo turno.

La notizia ha fatto il giro d’Europa: il candidato d’estrema destra indipendente Călin Georgescu ha inaspettatamente vinto il primo turno delle elezioni presidenziali. Sfiderà dunque al ballottaggio Elena Lasconi, candidata liberale del partito Unione Salvate la Romania (USR). A scuotere la Romania è però anche il fatto che, per la prima volta, il Partito Social Democratico (PSD) non accede al secondo turno. Non era successo neanche nei momenti più bui della storia del partito, come nel 2019. Qualche mese prima delle elezioni, il leader del PSD Liviu Dragnea era stato infatti condannato a tre anni e sei mesi di detenzione per abuso d’ufficio; il partito, spinto da Dragnea su posizioni ultranazionaliste e populiste, non aveva potuto fare altro che mandare al macero la candidata Viorica Dancila, fedelissima di Dragnea. Anche allora, però, il PSD era riuscito ad accedere al secondo turno.

Le ragioni della sconfitta

Cosa ha portato alla sconfitta del 24 novembre? È forse troppo presto per pensare che i rumeni si siano disfatti del monopolio trentennale dei partiti tradizionali. Se il Partito Nazional Liberale (PNL) sembra affossato di fronte ad una spietata concorrenza tra candidati di centro-destra – di cui al momento esce vincitrice proprio Lasconi -, per il PSD potrebbe essersi trattata di una semplice congiuntura infelice. Il tempo ci dirà se è davvero così: le elezioni parlamentari del prossimo 1° dicembre potrebbero già darci un’idea del destino del gigante della politica rumena.

Innanzitutto, al candidato del PSD Marcel Ciolacu era stata promessa una vittoria incontrastata già da molti mesi. I sondaggi davano il candidato di sinistra su percentuali altissime, spesso anche sopra il 30%; gli avversari erano fermi alla metà del suo atteso risultato. Durante tutta la giornata elettorale, poi, le dubbie regole del silenzio elettorale in Romania hanno rafforzato questo sentimento: l’essenziale, secondo il protocollo, è non fare nomi. Per il resto, durante l’election day i presentatori TV hanno intervistato i candidati, hanno avuto accesso ad exit poll e hanno dato indizi estremamente espliciti sull’andamento delle elezioni. I commentatori dell’emissione più seguita prima dello spoglio hanno ripetuto durante tutta la giornata che, secondo gli exit poll, il primo posto era incontrastato: restava da capire chi avrebbe avuto accesso al secondo posto. Hanno più volte commentato, con espressioni esterrefatte, l’ottimo risultato del “candidato meteora”, ovvero Georgescu, al pari di Lasconi e Simion nella sfida per l’argento. Dimensione poco considerata, ma che potrebbe aver avuto un reale impatto sul risultato di Georgescu, spingendo molti elettori alle urne. Per Ciolacu, al contrario, la garanzia del primo posto potrebbe aver avuto un effetto contrario: effettivamente, le zone rurali, appannaggio del PSD nel sud e nell’est del paese, si sono mobilitate pochissimo. Il distacco nell’affluenza alle urne tra queste e i centri urbani è stato ben più ampio del solito.

In secondo luogo, la diaspora ha votato molto più del passato. Fuori dalla Romania, gli elettori hanno rigettato, come ormai costume, i partiti tradizionali, preferendo di nuovo candidati anti-establishment, siano questi dei liberali USR o dei candidati d’estrema destra, come Georgescu, George Simion (AUR) o Diana Șoșoacă (S.O.S. Romania). A nulla sono serviti gli sforzi di Ciolacu, che nelle settimane prima delle elezioni ha incontrato i rumeni all’estero in vari paesi. È stata proprio la diaspora, negli ultimi minuti dello spoglio, a segnare il sorpasso di Lasconi.

Ovviamente, i fattori che hanno condotto alla disfatta non sono esclusivamente esterni: il PSD ha comunque una buona parte di responsabilità. La coalizione di governo contro-natura con il PNL, ad esempio, ha consolidato l’immagine di un cerchio elitario al potere che si spartisce poltrone e risorse.

Il dilemma del PSD

C’è poi da considerare un ridimensionamento strutturale dello scacchiere politico rumeno, conseguente alle scelte programmatiche dello stesso PSD. Il partito ha storicamente intercettato l’elettorato più tradizionalista del paese, quello delle zone rurali e appartenente agli strati più deboli della popolazione dal punto di vista economico. Lo ha fatto principalmente grazie ad un capillare sistema clientelare basato sui cosiddetti “baroni locali”, i rappresentanti del PSD in giro per il paese. Nel tentativo di distanziarsi dagli anni Dragnea, in parte anche per riguadagnare la fiducia dei partner occidentali, il PSD si è di recente moderato, adottando una retorica quasi tecnocratica. Le conseguenze di questo “accentramento” sono già solidamente studiate: in tutta la regione, la via pseudo-liberale dei vari partiti post-comunisti di sinistra ha inevitabilmente lasciato un vuoto nello spazio “conservatore”, occupato dai nuovi populismi di estrema destra, validi competitori dei socialisti anche per il loro tipico posizionamento a sinistra negli affari economici. L’ascesa del principale partito d’estrema destra AUR è stata infatti parallela alla fuoriuscita di Dragnea dalla vita politica del paese. A differenza di altri paesi, però, il fenomeno non è ancora nella sua massima espressione. Se il PSD ha rinunciato con relativa facilità all’elettorato attirato dai messaggi nazionalisti, non è ancora disposto a lasciar andare via gli strati economicamente deboli del paese, protagonisti del suo storico successo. Tentativi di corteggiamento delle classi medie e dei cittadini delle zone urbane sono già iniziati – anche considerata la necessità di attirare voti di fronte ad un elettorato estremamente anziano (l’età media degli elettori PSD era, al 2020, di 57 anni), ma il partito cerca comunque di mantenere a sé gli affezionati.

Come risolvere il dilemma? Al momento, appunto, il PSD cerca di barcamenarsi tra modernità e protezione dei deboli: lo dimostrano i nuovi volti del partito. Tra le nuove reclute, i giovani sono affiancati da consiglieri e personalità molto a sinistra in ambito economico. Inoltre, il suo sistema clientelare funge ancora da principale fattore di “redistribuzione” nelle zone più sperdute del paese, o almeno così sembra ai cittadini interessati. La ragione della debolezza dei populisti di destra rumeni finora è stata, tra le altre, questa: il PSD si è potuto permettere a più riprese di attuare riforme neoliberali impopolari, la sua rete ha spesso ammorbidito i conseguenti effetti nefasti tra chi in difficoltà.

Marcel Ciolacu, ormai leader ad interim del partito dopo le dimissioni, sembra essersi reso conto della necessità di puntare tutto, di nuovo, sul suo elettorato tradizionale: a qualche giorno dalle elezioni parlamentari, ha annunciato un aumento del salario minimo di circa cinquanta euro (ora a poco più di ottocento euro), valido dal prossimo primo gennaio, una delle armi del partito assieme ai regolari aumenti delle pensioni. Il PSD ha in questi giorni la strada in salita: aveva infatti puntato tutto sulla vicinanza tra presidenziali e parlamentari, “qualificarsi” al primo turno avrebbe inevitabilmente traghettato i partiti dei due vincitori verso il successo nel successivo scrutinio. Un gioco del destino.

Foto: Partidul Social Democrat, Wikimedia Commons

Chi è Gianmarco Bucci

Nato nel 1997 a Pescara, vive a Firenze. Al momento svolge un dottorato in Scienze Politiche e Sociologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa sulle coalizioni rosso-brune in Europa centro-orientale. Scrive su East Journal dal dicembre 2021.

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Il primo turno delle elezioni presidenziali ha visto l’ascesa inaspettata ma travolgente di Călin Georgescu, semi-sconosciuto candidato indipendente di estrema destra. Al secondo posto, con una rimonta all’ultimo voto ampiamente supportata dalla diaspora, si è piazzata Elena Lasconi, moderata liberale di centrodestra. Uno scenario, quello Lasconi-Georgescu, che nessuno aveva predetto. Tante domande e tante ipotesi per cercare di capirci qualcosa fino al prossimo appuntamento elettorale di domenica 1 dicembre, quando si voterà per eleggere il parlamento. 

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