Il premier Hristijan Mickoski ha sostituito alcuni membri della commissione di studio congiunta, innescando polemiche all’interno e all’esterno della Macedonia del nord.
Lo scorso 11 settembre, a Skopje, il governo guidato dai conservatori di centro-destra del VMRO-DPMNE si e’ riunito a porte chiuse per nominare i nuovi membri della commissione bulgaro-macedone per la storia e l’educazione. A causa di questo avvicendamento la stessa commissione ha deciso di rimandare la sessione di lavori prevista per la settimana successiva.
Critiche e rivalse
Il provvedimento di Mickoski non è stato un fulmine a ciel sereno. Già alla fine di agosto infatti il premier si era espresso molto negativamente sull’operato dei suoi connazionali, giudicati al di sotto delle aspettative e colpevoli a suo avviso di non aver tutelato a sufficienza gli interessi della Macedonia del Nord e del suo popolo. L’elenco dei promossi e dei bocciati ha inoltre confermato che il rapporto malsano di subordinazione tra politica e storiografia è una dinamica di lungo periodo, che caratterizza la commissione fin dalla sua nascita.
Esemplare in questo senso il caso del nuovo presidente Vancho Georgiev, docente presso l’Università San Cirillo e Metodio di Skopje, il quale aveva già ricoperto l’incarico una prima volta, ma lo aveva lasciato nel 2021 proprio in seguito ad alcune divergenze con il precedente governo socialdemocratico di Zoran Zaev.
Alimentando questo circolo vizioso, anche gli accademici appena messi alla porta hanno espresso le loro rimostranze in una lettera aperta contro l’esecutivo in cui si rivendicava l’indipendenza della commissione, formata da esperti e non politica; venivano contestati i metodi arbitrari di Mickoski, basati su criteri personalistici e su accuse infondate; e si suggeriva l’inserimento nel gruppo di lavoro di elementi terzi dall’UNESCO e dall’OSCE.
Dal governo la risposta non si è fatta attendere e lo scontro è degenerato ulteriormente. In un lungo intervento riportato dall’agenzia di stampa MIA, Mickoski ha ribadito che la nomina dei membri della commissione rientra nelle competenze della sua maggioranza e ha perfino minacciato di indagare sull’uso dei fondi ad essa destinati. La polemica si è poi allargata fino a toccare l’Unione Europea, l’agognato punto d’arrivo del confronto storico-culturale con Sofia. Il premier ha sottolineato la passività di Bruxelles di fronte agli sforzi compiuti dai macedoni dopo l’ottenimento dello status di paese candidato (nel lontano 2005), e ha espresso perplessità sul vincolo tra questioni identitarie e negoziati d’adesione all’UE.
Anche la controparte bulgara ha reagito al burrascoso rimpasto tra le fila dei vicini. Secondo lo storico ed ex parlamentare Mihailo Nedelchev, la decisione di Mickoski tradisce residui legami di dipendenza da paesi come la Serbia e la Russia, e impone uno stallo che rischia di congelare definitivamente i lavori della commissione. Alcuni osservatori hanno poi visto malizia nell’assenza della bandiera macedone dalle foto ufficiali dell’incontro tra i due presidenti Rumen Radev e Giordana Sijlianovska-Davkova, avvenuto a Sofia proprio il giorno dopo le nuove nomine.
I dossier sul tavolo della commissione
La Commissione bulgaro-macedone per la storia e l’educazione era nata in una fase delicata delle trattative preliminari tra Skopje e le istituzioni euro-altlantiche. Oltre al raggiungimento degli standard tecnici e politici infatti, sulla Macedonia del Nord pesavano anche due veti. Il primo, posto dalla Grecia sul nome del paese, era stato superato con il celebre accordo di Prespa, premessa dell’ingresso nella NATO nel marzo 2020.
Il secondo veto invece, quello bulgaro, è tuttora irrisolto e sta bloccando l’avvio dei negoziati UE. Sofia esige che nella Costituzione siano citati esplicitamente il suo popolo e la sua lingua come fondativi della nazione macedone. Per questa ragione l’accordo di buon vicinato firmato a Skopje nel 2017 aveva incluso la formazione di un gruppo di specialisti in grado elaborare una ricostruzione condivisa del passato che, oltre a sbloccare il negoziato con Bruxelles, potesse giovare alla diplomazia, al riconoscimento delle minoranze reciproche, all’insegnamento scolastico e alle pratiche della memoria collettiva.
Il lavoro della commissione si è rivelato però lungo e difficile, e numerosi nodi storici rimangono ancora da sciogliere. I progressi più significativi si sono evidenziati nella rilettura del periodo medievale, in particolare di quelle figure ritenute alla base dell’alfabetizzazione dell’evangelizzazione dei Balcani sud-orientali, come San Naum e San Clemente; oppure di sovrani come Samuele, lo zar dei Bulgari che aveva fissato nelle terre dei macedoni il fulcro dei suoi domini.
Discorso diverso riguardo ai temi dell’ultimo secolo, su cui la commissione è alla disperata ricerca di una sintesi. Tra i più sensibili c’è senza dubbio la paternità della rivolta anti-ottomana di Ilinden, del suo ispiratore Goce Delchev e dell’effimera ma significativa Repubblica di Krusevo che ne è scaturita nell’estate del 1903. Grandi discussioni infine anche sul giudizio da riservare alle campagne bulgare in Macedonia durante le due guerre mondiali: legittimi tentativi di ripristinare i confini originari del 1878 secondo Sofia, invasioni con conseguente occupazione secondo Skopje.
Gli storici come vittime
La vicenda che ha coinvolto Mickoski e gli accademici della commissione congiunta lascia, oltre a una sensazione sgradevole, alcuni interrogativi di principio sul mestiere dello storico.
L’indagine sul passato ha agevolato più volte con successo sia le relazioni diplomatiche tra vicini, sia la transizione democratica nei singoli paesi. Si pensi alle svariate commissioni storico-culturali promosse in Europa per lo studio dei conflitti novecenteschi (particolarmente virtuosa quella tra Italia e Slovenia), o alle commissioni di verità e riconciliazione seguite ai regimi militari in America Latina.
Mai però una commissione bilaterale era stata viziata in partenza da un rapporto di gerarchia tra le due componenti nazionali, dal potere di veto della prima nei confronti della seconda. In questo caso il rapporto tra storiografia e politica non può che invertirsi in funzione della vera posta in palio della partita, cioè la scelta di campo della Macedonia del Nord.
Immagine dalla pagina facebook Visit Macedonia