repressione e resistenza Bielorussia

BIELORUSSIA: Quattro anni di repressione e resistenza

Quattro anni dopo la repressione delle proteste in Bielorussia, la situazione è peggiorata, ma la resistenza non si ferma.

Sono passati quattro anni dalle elezioni presidenziali bielorusse del 9 agosto 2020, un evento che ha segnato una svolta tragica per il paese: in quel fatidico giorno, il presidente Alyaksandr Lukashenka, al potere dal 1994, fu rieletto per il suo sesto mandato consecutivo con un risultato ufficiale che superò l’80% dei voti. Tuttavia, questo risultato fu immediatamente contestato sia dai cittadini che dalla comunità internazionale, che accusarono il governo di frode elettorale. Ne seguirono proteste di massa senza precedenti, represse con brutale violenza da un regime determinato a mantenere il potere a qualsiasi costo. Quattro anni dopo, il paese si trova sotto una cappa di repressione ancora più pesante, e a più di tre decenni dall’indipendenza della Bielorussia dall’Unione Sovietica, la Bielorussia rimane uno degli ultimi baluardi di autoritarismo in Europa.

Le proteste del 2020

Le elezioni presidenziali dell’agosto 2020 sono state un momento critico per la storia della Bielorussia post-sovietica. Durante la campagna elettorale, tre figure principali si sono opposte al regime: Viktar Babaryka, un ex banchiere, Siarhei Tsikhanouski, un popolare video-blogger, e Valery Tsepkalo, ex ambasciatore. Tuttavia, le autorità hanno rapidamente represso queste figure, arrestando Babaryka e Tsikhanouski e costringendo Tsepkalo all’esilio. A sorpresa, la moglie di Tsikhanouski, Sviatlana Tsikhanouskaya, decise di candidarsi al posto del marito. Nonostante la sua iniziale inesperienza politica, Tsikhanouskaya emerse come la principale candidata dell’opposizione, raccogliendo il sostegno di molti bielorussi stanchi del regime.

La notte del 9 agosto 2020, quando i risultati elettorali furono annunciati, centinaia di migliaia di persone riversarono nelle strade di Minsk e di altre città per contestare il voto. L’ampiezza delle proteste sorprese molti osservatori, poiché la Bielorussia non aveva mai visto un tale livello di mobilitazione popolare. Le immagini di folle di persone che sventolavano le bandiere bianco-rosso-bianche, simbolo storico della Bielorussia democratica e indipendente, hanno fatto il giro del mondo, mostrando una nazione che finalmente sembrava pronta a liberarsi dal giogo autoritario.

Nonostante il governo abbia cercato di soffocare ogni forma di dissenso con arresti di massa e violenza, la partecipazione alle manifestazioni non diminuì. In molti quartieri di Minsk, ma anche in altre città, le proteste assunsero forme creative: le persone organizzavano catene umane, cantavano canzoni di resistenza e decoravano le strade con simboli dell’opposizione.

La brutale repressione del regime

Ma se il popolo bielorusso aveva risvegliato le speranze di un cambiamento democratico, il regime di Lukashenka rispose con una repressione senza precedenti. Le forze di sicurezza, conosciute per la loro lealtà incondizionata verso Lukashenka, usarono gas lacrimogeni, granate e proiettili di gomma per disperdere i manifestanti, causando morti e feriti. Nel giro di pochi giorni, decine di migliaia di persone furono arrestate, e le prigioni si riempirono di cittadini accusati di aver partecipato a manifestazioni non autorizzate o di aver espresso opinioni contrarie al regime. Le testimonianze dei prigionieri hanno rivelato una realtà fatta di torture sistematiche, pestaggi e maltrattamenti. Le prigioni sono diventate luoghi di terrore, con le autorità che cercavano non solo di punire i manifestanti, ma di intimidire chiunque avesse l’intenzione di unirsi alle proteste.

Dopo aver sedato le proteste di massa con la forza, Lukashenka ha lanciato una nuova fase della sua strategia autoritaria: il consolidamento del potere attraverso la propaganda e una repressione ancora più capillare. Il controllo dei media è stato rafforzato e la propaganda statale ha cominciato a dipingere i manifestanti come “terroristi” e “traditori” pagati dall’Occidente. La narrativa di Stato, sempre più aggressiva, ha cercato di giustificare l’uso della forza come un mezzo necessario per proteggere la Bielorussia da presunti complotti stranieri. 

Uno degli aspetti più inquietanti di questa propaganda è stata la diffusione di “interviste forzate” con prigionieri politici, costretti a chiedere pubblicamente perdono al regime e a rinnegare le proprie convinzioni. Questi video sono diventati uno strumento regolare del governo per demoralizzare l’opposizione e dissuadere potenziali nuovi attivisti.

Le accuse di “tradimento” sono diventate una tattica legale per neutralizzare i critici del governo. Nel febbraio 2024, almeno 55 persone si trovavano in carcere condannate sulla base dell’articolo 356 del codice penale, ereditato dall’epoca sovietica, che punisce il “tradimento contro lo Stato”. Giornalisti, attivisti sindacali, operatori culturali e persino cittadini comuni sono stati etichettati come traditori. Molti di questi processi si sono svolti a porte chiuse, senza garanzie di equità o trasparenza, mentre i detenuti venivano tenuti in condizioni disumane.

Nel frattempo, la lista extragiudiziale degli “estremisti”, mantenuta dal Ministero degli Interni bielorusso, è cresciuta vertiginosamente. Attualmente, più di 4.200 nomi figurano in questa lista, tra cui giornalisti indipendenti, blogger, musicisti e attivisti. Uno degli “estremisti” più giovani aveva solo 16 anni quando è stato accusato di aver partecipato alle proteste del 2020, mentre il più anziano, condannato per “insulti al presidente”, ha 82 anni. L’etichettatura di “estremista” è diventata una sentenza di emarginazione sociale ed economica: chi finisce su questa lista è soggetto a sorveglianza costante, non può lavorare in determinati settori ed è spesso sottoposto a persecuzioni giudiziarie. Persino commenti negativi sui social media contro funzionari di Stato possono portare all’inserimento nella lista degli estremisti.

La repressione non si è limitata solo agli attivisti politici, ma ha colpito anche il settore culturale e l’istruzione. Oltre 220 organizzazioni non governative sono state etichettate come “estremiste” dal Ministero degli Interni bielorusso, e tra le vittime di questa repressione figurano non solo ONG, ma anche sindacati, media indipendenti e gruppi culturali. Persino opere letterarie sono state censurate: nel 2023, un tribunale ha vietato le poesie del poeta del XIX secolo Vintsent Dunin-Martsinkevich, colpevole di aver esortato i bielorussi a non fidarsi dell’impero zarista. Un simbolo eloquente di quanto la repressione abbia raggiunto ogni angolo della vita pubblica.

Il culto della personalità e la celebrazione del potere

Parallelamente alla repressione, Lukashenka ha lavorato per rafforzare ulteriormente il suo culto della personalità. Il luglio 2024 ha visto la celebrazione del 30° anniversario della sua ascesa al potere, un evento celebrato in stile sovietico, con toni che ricordavano la designazione di Joseph Stalin come “padre del popolo”. Durante questi festeggiamenti, sostenuti dalla propaganda di Stato, si è discusso dell’idea di dichiarare Lukashenka “Eroe della Bielorussia”, un titolo che lo metterebbe al pari delle figure storiche più importanti del paese.

La costruzione del culto della personalità si sta intensificando con la preparazione delle elezioni del 2025, in cui Lukashenka sembra intenzionato a candidarsi per un settimo mandato. Questo messaggio, diffuso attraverso i media statali, ha lo scopo di intimidire potenziali manifestanti e scoraggiare qualsiasi opposizione organizzata, suggerendo che il regime non solo è forte, ma anche destinato a rimanere al potere indefinitamente.

La relazione con la Russia: dipendenza e subordinazione

Un altro fattore cruciale nella sopravvivenza del regime di Lukashenka è il suo stretto legame con la Russia. Mosca ha sostenuto Lukashenka sin dall’inizio delle proteste, fornendo assistenza economica e diplomatica per aiutare il governo a mantenere il controllo. Questo sostegno è diventato ancora più evidente nel 2022, quando la Bielorussia ha permesso all’esercito russo di utilizzare il suo territorio come punto di lancio per l’invasione dell’Ucraina.

Il coinvolgimento della Bielorussia nella guerra in Ucraina ha ulteriormente isolato il paese sulla scena internazionale. L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno risposto con un’ondata di sanzioni economiche contro Minsk, colpendo settori chiave dell’economia bielorussa, tra cui il petrolchimico e il finanziario. Inoltre, con le modifiche costituzionali del 2022, il regime di Minsk ha accettato di ospitare armi nucleari tattiche russe sul proprio territorio, abbandonando lo status di paese non nucleare che aveva mantenuto fino a quel momento e integrando sempre più strettamente le sue forze armate con quelle russe. Questo sviluppo ha ulteriormente allineato la Bielorussia con le politiche espansionistiche di Mosca, trasformando il paese in un importante avamposto militare per la Russia nell’Europa orientale.

La resistenza della società civile e il supporto internazionale

Nonostante la repressione, la società civile bielorussa continua a lottare. Attivisti, giornalisti indipendenti e difensori dei diritti umani lavorano senza sosta per documentare gli abusi del regime e mantenere viva la voce della Bielorussia democratica. Molti di questi attivisti operano dall’estero, avendo trovato rifugio in Paesi come la Lituania, la Polonia e altri stati europei.

La “Giornata della solidarietà con la Bielorussia”, celebrata il 9 agosto 2024 e lanciata dalla leader dell’opposizione Sviatlana Tsikhanouskaya, è stata un esempio emblematico della resilienza del popolo bielorusso. Manifestazioni di solidarietà si sono svolte in tutto il mondo, dimostrando che la causa della libertà e della democrazia in Bielorussia è ancora viva. La diaspora bielorussa, che conta migliaia di persone, continua a esercitare pressione sui governi occidentali affinché mantengano l’attenzione sulla situazione nel paese e rafforzino le sanzioni contro il regime.

La comunità internazionale ha dimostrato solidarietà con il popolo bielorusso attraverso dichiarazioni congiunte, sanzioni e iniziative diplomatiche. Questa estate, proprio nella simbolica data del 9 agosto, Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Unione Europea hanno annunciato una nuova serie di sanzioni contro funzionari ed enti bielorussi coinvolti nelle violazioni dei diritti umani e nella repressione delle libertà civili. Inoltre, di recente il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha sanzionato 19 individui, 14 società e un aereo per il loro ruolo nel sostegno agli sforzi bellici russi e nell’elusione delle sanzioni già esistenti. Queste misure sono mirate a ritenere responsabili coloro che hanno permesso la repressione della democrazia e a colpire il sostegno economico e politico del regime, in particolare per il suo appoggio alla guerra della Russia in Ucraina.

La dichiarazione congiunta rilasciata da queste nazioni ha espresso il loro impegno a continuare a monitorare la situazione e ad adottare ulteriori provvedimenti. È stato ribadito l’appello per il rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri politici, e il sostegno continuo a coloro che cercano di promuovere un futuro democratico in Bielorussia. Tuttavia, l’efficacia di queste misure rimane incerta, poiché il supporto della Russia continua a sostenere il governo bielorusso, permettendogli di resistere all’isolamento economico internazionale.

Il rilascio di prigionieri: un gesto simbolico o un cambiamento di rotta?

Nonostante tutto, nelle ultime settimane il regime ha fatto piccoli passi verso una possibile apertura. Dall’inizio di luglio, Lukashenka ha concesso la grazia a circa 115 persone condannate per attività legate alle proteste. Tra queste, figura Ryhor Kastusiou, ex candidato presidenziale dell’opposizione, e Kseniya Lutskina, giornalista affetta da un grave tumore. Anche il leader sindacale Vasil Berasnieu è stato liberato. Questo gesto, descritto dai media di Stato come un “atto di umanità”, ha sollevato speranze, ma gli osservatori internazionali e l’opposizione in esilio rimangono scettici.

Il gruppo per i diritti umani Viasna ha infatti sottolineato che, nonostante queste liberazioni, i processi politici e le condanne continuano a ritmo sostenuto. Solo a luglio 2024, sono state condannate almeno 170 persone per crimini politici. Infatti, la strada verso una Bielorussia democratica appare ancora lunga e difficile, e il sostegno internazionale sarà cruciale per mantenere alta la pressione sul regime e dare forza a chi lotta per un cambiamento reale.

La Giornata della solidarietà con la Bielorussia del 9 agosto 2024 è stata un potente promemoria del fatto che la lotta per la libertà continua. Le manifestazioni globali hanno dimostrato che esiste ancora una volontà di resistenza, e che il sogno di una Bielorussia libera non è morto. Il cammino verso la democrazia sarà lungo e difficile, ma la resistenza dei bielorussi, all’interno e all’esterno del paese, è una testimonianza della forza dello spirito umano e della determinazione a lottare per un futuro migliore.

Foto: Natallia Rak 

Chi è M. Ida Nappi

Studentessa magistrale in Studi sull'Est Europa e sull'Eurasia (MIREES) presso l'Università di Bologna, con un background in lingua e letteratura russa (Università degli Studi di Napoli L'Orientale).

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