Danubio

SERBIA: Il recupero della flotta nazista affondata nel Danubio

Ci sono pezzi di storia che riemergono improvvisi come certi sogni di certe notti. Le acque da cui questi sogni riaffiorano sono, questa volta, quelle del Danubio e di ciò che resta del suo blu. A comparire sono invece le lamiere d’acciaio d’una nave, cristallizzate dalla patina grigiastra del tempo e della vegetazione; della vita sommersa che tra quelle lamiere ha trovato dimora, dando così un senso a un racconto lungo ottant’anni.

Il recupero del relitto

A dare l’annuncio del recupero di un’imbarcazione dalle acque del fiume è stato, poche settimane fa, il ministro serbo per le Costruzioni e le Infrastrutture, Goran Vesić. Non un relitto qualsiasi, ma una nave della Kriegsmarine, la marina militare nazista, e – in particolare – del Kampfgruppe Zieb (il Gruppo di Battaglia Zieb, dal nome del contrammiraglio che lo guidava, Paul Willy-Zieb) che operava nel Mar Nero nel corso della Seconda guerra mondiale.

Siamo a Prahovo, piccolo villaggio a pochi chilometri dal confine rumeno, in territorio serbo. È qui, infatti, che i tedeschi in fuga dalla controffensiva russa decisero di affondare l’intera flotta del contingente per evitare che potesse cadere in mani nemiche e con lo scopo di rendere difficile la navigazione del fiume. Era il settembre del 1944 e a dare l’ordine fu lo stesso Zieb che, peraltro, aveva già proditoriamente abbandonato il ponte di comando riparandosi comodamente a Belgrado: sebbene i numeri esatti non siano noti, un’indagine magnetometrica eseguita nell’autunno del 2020 sembra avvalorare la ricostruzione storica dell’avvenimento che indica in almeno duecento gli scafi coinvolti, disseminati lungo un tratto di fiume di oltre 40 chilometri.

Il progetto serbo

Non occorre d’altra parte il magnetometro per individuare – oggi – i resti di molte di queste carcasse, restituite alla vista dal drammatico abbassamento del livello del Danubio che in molti tratti ha comportato la drastica riduzione della sezione di deflusso rendendo difficile, se non impossibile, il transito sicuro delle centinaia di navi da crociera e mercantili che ogni anno solcano il Danubio (il 60% del traffico è internazionale, solo il 40% serbo).

È questa situazione che ha indotto le autorità serbe a intervenire con un progetto finanziato per circa trenta milioni di euro e che prevede la rimozione di altre decine di imbarcazioni, venti nei prossimi mesi, altre ottanta successivamente. Un progetto tanto necessario quanto ambizioso, a integrare il lavoro già svolto dall’Unione Sovietica subito dopo il conflitto e dal governo rumeno negli anni ’80 del secolo scorso. Un tentativo, quest’ultimo, che avrebbe anche causato un tragico incidente con l’esplosione di un ordigno che avrebbe provocato la morte di dieci persone.

È questo che giustifica la cautela con cui Belgrado sta operando oggi, ovvero la necessità di una attenta bonifica di ogni relitto, molti dei quali tuttora imbottiti di bombe e di congegni inesplosi. Il progetto serbo, nelle parole di Vesić, dovrebbe completarsi con la realizzazione di un’area in cui esporre le carcasse, in memoria di quei fatti e di quegl’anni (vent’anni fa, quando ancora non si parlava di recupero, si era anche ipotizzato di trasformare i relitti in attrazione turistica per i croceristi).

La storia che c’è dietro

Devono essere state ore drammatiche quelle, un frammento di storia che ci riporta agli ultimi mesi del secondo conflitto e alla ritirata disastrosa dell’esercito tedesco dalla Romania e dalle rive del Mar Nero sotto la pressione crescente dell’Armata Rossa che risaliva – inarrestabile – lungo il Balcani.

È l’agosto del 1944 e la flotta che in quelle acque aveva operato per sostenere l’invasione nazista del 1941 – soprattutto con compiti di supporto logistico dopo la conquista dei porti ucraini e di Sebastopoli, in Crimea – tenta l’impresa impossibile: ripercorrere gli oltre duemila chilometri del Danubio, dalla Romania fino in Germania attraverso la Serbia, l’Ungheria, la Slovacchia, l’Austria.

A bordo ci sono migliaia di uomini imbarcati in duecento navi, un convoglio lungo almeno venticinque chilometri. C’è anche una nave ospedale alta tre piani, zeppa di feriti. Una colonna tanto ingombrante quanto facile bersaglio dell’esercito rumeno che proprio negli stessi giorni aveva abbandonato l’ex alleato tedesco dopo la deposizione di Ion Antonescu, il duce rumeno (poi giustiziato da sovietici nel 1946).

Gli attacchi sono continui, centinaia i morti. A Prahovo il convoglio si blocca, impossibile andare avanti, i sovietici hanno già il pieno controllo del corso subito a valle, una gola tra le rocce scoscese nota come “Porta di Ferro”. La situazione è irrecuperabile, inevitabile l’ordine di far colare a picco le navi (è la mezzanotte del 6 settembre del 1944), quello di tentare il rientro in patria, a piedi o in treno, attraversando un territorio diventato improvvisamente nemico. Una sorte che accomuna tutti i superstiti e di cui si sa poco o nulla.

Prima che venissero affondate agli abitanti di Prahovo fu concessa la possibilità di saccheggiare le imbarcazioni: tappeti, orologi da parete, utensili, posate, stoviglie. Per anni da quelle parti si favoleggiò dell’esistenza di presunti tesori di guerra, poi l’oblio, quello delle acque del Danubio e dei sedimenti che coprono le cose, ogni cosa. Fintanto che anni di una siccità senza precedenti – altro lascito di un’altra follia tutta umana, l’avvelenamento del nostro pianeta – non ce le ha restituite quasi intatte insieme al suo racconto.

Foto: Radio Free Europe

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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