Kosovo

KOSOVO: Cosa c’è dietro gli scontri nel nord del paese?

Scontri fanno salire la tensione nel nord del Kosovo dopo l’insediamento di sindaci albanesi in quattro città a maggioranza serba. Dietro la protesta, sfociata nella violenza, le elezioni boicottate in aprile e gli accordi Kosovo-Serbia approvati, ma mai firmati e messi in atto.

Nel nord del Kosovo, zona del paese abitata in maggioranza da serbi, è tornata a crescere la tensione tra popolazione e governo e nella giornata di lunedì 29 maggio un nutrito gruppo di manifestanti serbi è arrivato allo scontro fisico con la polizia kosovara e con i militari della KFOR, le forze militari della NATO presenti nel paese dal 1999.

Le tensioni si sono registrate nei comuni di Zubin Potok, Zvecan e Leposavic dove i sindaci eletti sono di nazionalità albanese e il loro insediamento nei rispettivi municipi ha scatenato l’ira della popolazione serba che non li considera loro rappresentanti legittimi. 

Le elezioni e gli scontri

La questione nasce nelle elezioni comunali tenutesi lo scorso 23 aprile nei quattro comuni nel nord del paese, indette a seguito delle dimissioni dei quattro sindaci serbi rappresentanti della Srpska Lista, il maggior partito dei serbi del Kosovo controllato da Belgrado, come parte della vasta operazione di boicottaggio delle istituzioni kosovare lanciato dai rappresentanti serbi lo scorso autunno. Le elezioni erano state già rimandate una volta, a dicembre, ma questo non era bastato per convincere i serbi a partecipare, dunque il governo kosovaro guidato dal primo ministro Albin Kurti ha deciso di procedere con il voto ad aprile, avallato anche dalla comunità internazionale.

A seguito del boicottaggio elettorale, sono stati eletti sindaci quattro candidati sostenuti dai partiti albanesi, che hanno ricevuto pochissimi voti (1.500 elettori, su circa 45.000 registrati). Quando i sindaci hanno tentato di entrare nel municipio delle rispettive città, lo scorso 26 maggio, la popolazione serba è scesa in piazza, opponendosi all’ingresso. In questo contesto, gli episodi più violenti si sono registrati il 29 maggio a Zvecan, dove si sono verificati scontri tra i manifestanti e la polizia kosovara e dove l’intervento dei militari NATO si è reso indispensabile. I militari della KFOR si sono così trovati sotto attacco dei manifestanti, registrando trenta feriti, tra cui 11 militari italiani. Alcuni di loro hanno riportato ferite da arma da fuoco, a dimostrazione che tra i manifestanti pacifici erano presenti frange violente. I video degli incidenti mostrano difatti uomini a volto coperto ben armati ed organizzati, inclusi membri di note organizzazioni criminali serbe.

Nei giorni successivi, la situazione si è pian piano calmata e gli scontri sono terminati, tuttavia l’equilibrio resta precario e la protesta è tutt’altro che finita. Gruppi di dimostranti serbi sono rimasti a presidiare gli uffici comunali, sotto gli occhi di poliziotti del Kosovo e militari NATO.

Scambio di accuse e reazioni

Le richieste dei manifestanti, che includono il ritiro incondizionato delle forze speciali kosovare dal nord del paese e le dimissioni dei sindaci eletti, sono state riprese e sottolineate anche dal presidente serbo Aleksandar Vučić, che ha accusato il governo di Pristina di voler trascinare la regione in “un bagno di sangue”. Accuse rispedite al mittente dal primo ministro kosovaro Albin Kurti, che ha sottolineato l’impegno del suo governo nel rispettare la legalità dei risultati elettorali ed assicurare un governo ai comuni. Kurti ha inoltre accusato la Serbia di utilizzare “milizie fasciste” per alimentare i disordini nel nord del Kosovo, agendo per conto della Russia di Vladimir Putin.

Al di là delle rispettive retoriche delle parti in causa, a fare notizia sono state le reazioni della comunità internazionale, che pur denunciando nettamente le violenze contro la polizia e i militari da parte dei serbi, è stata molto critica verso la decisione del governo del Kosovo di agire in modo unilaterale tentando l’insediamento dei sindaci. Molto netti sono stati gli Stati Uniti, con il Segretario di Stato Antony Blinken che ha condannato l’azione intrapresa da Kurti e l’ambasciatore a Pristina che ha sottolineato la mancanza di coordinamento con i partner internazionali da parte del governo kosovaro. Alle parole sono seguite i fatti, con l’annuncio di future sanzioni a danno del Kosovo. Il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg intanto ha annunciato che sono stati dispiegati nel paese 700 agenti in più e un battaglione è stato allertato in caso di necessità,

Nel corso della settimana, la diplomazia europa si è attivata con le due parti e il 3 giugno il rappresentante della politica estera dell’Unione europea Josep Borrell ha ufficialmente chiesto a Kosovo e Serbia di agire immediatamente per ridurre le tensioni. Allo stesso tempo, l’UE ha chiesto di indire nuove elezioni comunali, a cui i serbi sono chiamati a partecipare. Fino ad allora, i sindaci albanesi dovranno lavorare evitando di accedere agli uffici comunali. Kurti ha parzialmente aperto alla richiesta di nuove elezioni, sottolineando al contempo che la polizia kosovara lascerà le postazioni vicino agli uffici comunali sono quando le milizie serbe responsabili delle violenze andranno “in Serbia o in prigione”.  La Lista Srpska, d’altro canto, ha risposto che il boicottaggio dei serbi terminerà solo in cambio di due condizioni, il ritiro delle forze speciali kosovare e la formazione della Associazione delle municipalità a maggioranza serbe in Kosovo (ASM).

Una situazione fragile

Mentre la situazione sul campo resta fragile, la condizione posta dai serbi lascia intendere come le tensioni siano il riflesso violento delle difficoltà nel negoziato ad alto livello tra Kosovo e Serbia, mediato dall’Unione europea con il supporto degli Stati Uniti. La ASM, difatti, è uno dei nodi maggiori ancora da sciogliere all’interno dell’accordo tra i due paesi, raggiunto a Bruxelles il 27 febbraio, confermato a Ohrid il 18 marzo, ma mai firmato dalle due parti e ancora lontano dalla sua messa in atto.

Nonostante gli annunci dell’Unione europea, dunque, la normalizzazione dei rapporti tra Kosovo e Serbia resta ancora un percorso lungo e complicato, costellato da momenti di crisi e tensioni, che, come nei giorni scorsi, si propongono in modo ciclico e con seri rischi di escalation sul campo.

Foto: EU reporter

Chi è Andrea Mercurio

Ho 26 anni, sono laureato in Scienze Politiche, amo scrivere in ogni modo e in ogni forma. Sono appassionato di Storia e Attualità, da qualche anno mi sono interessato in particolare ai Balcani.

Leggi anche

guerra targhe

BALCANI: Tra Kosovo e Serbia la fine della guerra delle targhe e quel sottile filo che non si spezza

Facendo seguito ad un'analoga disposizione del governo serbo di fine anno, anche il Kosovo ha deciso di consentire alle auto serbe di entrare nel proprio paese senza alcun contrassegno. E' la fine della guerra delle targhe, una guerra che ha fatto da sfondo costante a tutti i più drammatici sviluppi degli ultimi anni

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com