L'accesso all'acqua potabile in Romania rimane in alcune zone problematico

ROMANIA: Ma è potabile?

Impressioni da Bucarest. L’accesso all’acqua potabile in Romania rimane in alcune zone problematico, nonostante i molti sforzi infrastrutturali.

BUCAREST. Il viaggio è lungo, le parecchie ore trascorse fra aerei, treni e altri mezzi di trasporti si fanno sentire, ma finalmente sono arrivata. Affaticata e accaldata dalla piacevole ma imprevista aria primaverile che mi ha accolto all’atterraggio, metto piede nell’appartamento e mi concedo finalmente un po’ di riposo, sorseggiando un bicchiere di acqua fresca appena spillata dal rubinetto. Ma ne basta un goccio per farmi sobbalzare: il gusto, dal sapore pungente di cloro, è orribile, l’aspetto vagamente torbido.

Mi domando se l’acqua che sto bevendo sia potabile. Da quello che mi ricordo ho sempre bevuto l’acqua dal rubinetto quando ho vissuto in Romania. Inoltre nelle grandi città le infrastrutture e i controlli idrici sono solitamente più avanzati che in altre parti del paese – mi stupirebbe che proprio Bucarest fosse l’eccezione.

Concludo che quasi sicuramente è potabile, ma per curiosità faccio una piccola ricerca su Internet. Scopro di non essere la sola a chiedersi se l’acqua a Bucarest sia potabile. Pare infatti che questa sia fra le domande più frequenti che si fanno i turisti in visita nella capitale romena. Stando ai dati raccolti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa l’82% dell’acqua che esce dai rubinetti in Romania è potabile (nelle zone rurali, la quota è al 67%).

Ancora tanti sospetti

Il 60% dei rumeni preferisce l’acqua in bottiglia e uno su due è convinto che l’acqua proveniente dal rubinetto non sia del tutto potabile. “Mi è successo che dopo che si asciugasse l’acqua del rubinetto rimanesse del bianco nel bicchiere, quindi non è acqua pulita”, “L’acqua del rubinetto è molto sporca. Ci sono volte in cui bevo acqua del rubinetto, ma ci sono particelle di ruggine, di sporco” sono alcune delle risposte raccolte per un sondaggio a Bucarest.

Alcuni casi recenti hanno rinforzato questa diffidenza: nel 2019, Bucarest ha dovuto affrontare un problema di acqua contaminata con cloro. Apa Nova, la società che gestisce la rete idrica e fognaria della capitale, aveva deciso di immettere ingenti quantità di cloro per disinfettare le acque provenienti dal fiume Arges, una fra le fonti principali di acqua della città, inquinate da ammoniaca a seguito dello scioglimento massiccio delle nevi.

Come conseguenza, l’acqua pare essere stata contaminata da una quantità di cinque volte superiore alla soglia consentita. La Direzione di Salute Pubblica di Bucarest ha accusato Apa Nova di non aver informato la popolazione della situazione e dei possibili rischi legati ad una concentrazione tale di cloro. Apa Nova ha replicato che le misure effettuate dalla compagnia non avevano rilevato nessuno sforamento significativo e che quindi non c’era motivo di allarmare l’opinione pubblica. Pur non rappresentando un pericolo imminente, livelli di cloro elevati potrebbero scatenare reazioni dermatologiche, provocare disturbi respiratori, ma anche mal di stomaco, bruciori e gonfiori in bocca e gola.

Il mix chimico

Proprio a Bucarest, la maggior parte dell’acqua potabile che esce dai rubinetti proviene dalla purificazione delle acque dei due fiumi cittadini, il Dambovita e l’Arges. I due fiumi sono altamente inquinati, al punto tale che ne è fortemente sconsigliata la balneazione. Per diventare potabile, l’acqua deve essere trattata con un lungo e complesso processo chimico e fisico, che include l’utilizzo di cloro, composti di alluminio, acido solforico, calce viva.

Non ci sono evidenze scientifiche di rischio per la salute umana, come sottolinea Adrian Stanciu, ingegnere impiegato nella centrale che coordina la produzione di acqua potabile per Bucarest. “Dopo l’adesione nella UE, la Romania di fatto ha copiato la legislazione europea in materia di sicurezza per ciò che riguarda la produzione di acqua potabile. E la legislazione europea non è stata redatta dall’oggi al domani né con approssimazione”.

“Sa di tubo!”

Problemi si riscontrano anche in altre città: a Iasi, per esempio, l’acqua lascia visibili segni bianchi di calcare sulle stoviglie, mentre a Cluj è troppo dolce, quasi totalmente priva di sali minerali.

In tante altre citta semplicemente non è buona da bere. È il caso di Zalau, in Transilvania, dove i locali raccontano di un’acqua che “ha un saporaccio, ha dei depositi, un giorno sì e uno no si vede uno spesso strato chiaro; ha un sapore e un odore molto pungenti di cloro e metallo. […] Non conosco nessuno che beve l’acqua direttamente dal rubinetto […]”.

La gente del luogo si è ormai abituata da tempo a utilizzare l’acqua che sgorga da alcune fontane artesiane che convogliano acque piovane. Ma neanche le fontanelle garantiscono acqua di qualità, che pare anzi contenere concentrazioni di ammoniaca fino a venti volte il limite di sicurezza.

I cittadini di Zalau dicono che “anche se ha un leggero odore”, bevono l’acqua da molti anni senza aver mai avuto problemi. Un paradosso che ben spiega la diffidenza di lunga data nei confronti dell’acqua dal rubinetto: l’acqua delle fontanelle viene preferita a quella controllata della rete idrica pubblica e di cui lamentano gli stessi difetti.

A Cluj, un abitante dichiara: “Noi beviamo quasi esclusivamente acqua comprata in negozio. […] bevuta direttamente, ha un retrogusto preso dalle tubature vecchie dell’edificio”. Anche questo è un problema: le condutture che trasportano l’acqua all’interno delle case possono impregnare l’acqua di “proprietà sgradite”, ammette il portavoce della compagnia locale idrica. Come evidenzia Ilie Vlaicu, presidente della Associazione Romena dell’Acqua, la Romania risulta spesso capolista fra i paesi più bisognosi di investimenti infrastrutturali, ma ultima per quelli effettivamente realizzati, una condizione che di fatto limita l‘accesso all’acqua potabile per i rumeni.

L’aiuto dell’Unione Europea

Il potenziamento delle reti idriche e fognarie è stato inserito fra le priorità del PNRR rumeno, con cui sono stati allocati 1,88 miliardi di euro per allacciare circa 88mila famiglie alle reti pubbliche dell’acqua. Prima ancora, la Commissione Europea aveva approvato nel 2020 un investimento di circa 370 milioni di euro dal Fondo per la Coesione per sostenere la fornitura di acqua potabile e la raccolta e trattamento delle acque usate in sei distretti. In totale, il Programma Operativo per le Grandi Infrastrutture attivo nel periodo 2014-2020, ha ricevuto 10,87 miliardi di euro, dei quali più di due terzi provenienti da Bruxelles.

Pur rappresentando eccezioni o situazioni locali, i casi raccontati sono emblematici. Garantire un sicuro e regolare accesso all’acqua potabile era una delle condizioni imposte alla Romania per l’adesione UE, ma ancora sedici anni dopo la maggioranza della popolazione non può o non vuole consumarla. L’acqua rimane dunque ancora un problema in Romania.

Fonte: Romania Europa Libera

Qui altri articoli sull’acqua dagli archivi East Journal.

Chi è Rebecca Grossi

Appassionata di politica e di tutto ciò che sta al di là della ex Cortina di ferro, ha frequentato Studi Internazionali a Trento e Studi sull'Est Europa presso l'Università di Bologna. Dopo soggiorni più o meno lunghi di studio e lavoro in Austria, Grecia, Germania, Romania e Slovenia, abita ora a Lipsia, nell'ex DDR, dove è impegnata in un dottorato di ricerca sul ruolo del Mar Nero nella strategia geopolitica della Romania. Per East Journal si occupa principalmente di Romania e Turchia.

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