Staro Sajmište
Staro Sajmište

SERBIA: La strumentalizzazione della memoria nell’ex campo nazista di Staro Sajmište

L’ex campo nazista di Staro Sajmište, a Belgrado, non sfugge alla strumentalizzazione della memoria storica operata dalla classe dirigente serba e diventa per il presidente Vučić il luogo del “genocidio del popolo serbo”, oscurando così il ruolo del sito nella storia della distruzione degli ebrei d’Europa.

All’inizio di dicembre 2022, all’interno del Museo nazionale di Belgrado è stata aperta una mostra intitolata “The Camp at the Belgrade Fair (1941-1944)”, promossa dallo Staro Sajmište Memorial Center, istituzione nata nel 2022 con l’obiettivo di far rivivere, sul sito dell’ex campo nazista, la memoria di questo luogo di morte nella Serbia occupata durante la Seconda guerra mondiale.

Il campo dimenticato

In occasione dell’inaugurazione della mostra, Krinka Vidaković Petrov, direttrice esecutiva del Memorial Center, ha presentato il centro come un “potente rimedio all’amnesia che affligge la società serba” – un luogo che, attraverso l’educazione al passato, potrebbe “rafforzare l’identità nazionale garantendo alla società un futuro migliore”. Un’amnesia che colpisce l’opinione pubblica serba e i belgradesi stessi, dal momento che nella capitale erano in pochi a sapere dell’esistenza di Staro Sajmište: per decenni infatti il campo sarebbe stato oggetto di un oblio organizzato e, a parte la modesta targa commemorativa del 1974 e da tempo rimossa, non vi sarebbe stata alcuna iniziativa per promuovere il sito. Fino alla fondazione del memoriale un anno fa.

La narrazione che la dirigenza del memoriale fa del memoriale stesso, però, lascia qualche perplessità: innanzitutto perché essa ignora totalmente la complessa storia del campo di Staro Sajmište dopo la seconda guerra mondiale; in secondo luogo, perché non viene menzionato il ruolo del campo come simbolo della storia rivoluzionaria di Belgrado nei primi anni ‘80; infine perché tenta di oscurare la manipolazione della storia relativa al campo che, dalla fine degli anni ‘80 a oggi, lo presenta come il luogo ideale per la commemorazione del genocidio dei serbi commesso dallo Stato indipendente di Croazia (NDH), sorvolando anche sui decenni di impegno della comunità ebraica in Serbia per garantire che l’Olocausto – una dimensione spesso trascurata ma fondamentale della storia di Staro Sajmište – sia finalmente adeguatamente riconosciuto.

Gli obiettivi del revisionismo storico serbo

Vista nell’ottica del revisionismo storico e del nazionalismo portato avanti da tempo dalle istituzioni serbe, la volontà del presidente serbo Aleksandar Vučić di “liberare il campo di Staro Sajmište dai pesanti strati di oblio” che lo ricoprivano, si inserisce in quella riscrittura storica che vorrebbe il popolo serbo glorificato e martirizzato. Una riscrittura visibile anche nella mostra in questione: una modesta serie di pannelli con riproduzioni di foto d’archivio e relativa didascalia, priva di qualsiasi soluzione museografica contemporanea, che presenta i dati fondamentali sul campo di Staro Sajmište, senza però indagare la sua natura più profonda, senza far alcun riferimento all’inflessibile efficienza del generale Milan Nedić – primo ministro dello Stato Serbo durante l’occupazione nazista – nello sterminio di ebrei e zingari, un’efficienza che permise alla Serbia di essere dichiarata Judenfrei, “libera” dagli ebrei, già nell’agosto 1942.

Il discorso storico che viene proposto nella mostra divide il campo in due fasi consecutive: prima un campo per la concentrazione degli ebrei (dicembre 1941-maggio 1942), poi un campo per il transito dei serbi dell’NDH (maggio 1942-luglio 1944), dove trovarono la morte serbi, ebrei e rom. In assenza di qualsiasi intenzione di chiarire che i detenuti, quasi esclusivamente ebrei (principalmente anziani, donne e bambini), sono stati sottoposti allo sterminio sistematico attraverso i fumi di scarico dei camion, l’unica cosa riconosciuta alle vittime ebraiche è quella di essere state le prime vittime del campo di Staro Sajmište, e nient’altro. Una specie di livellamento, di parificazione dei destini delle vittime da cui si possono intravedere delle resistenze da parte degli organizzatori – e  della classe politica al comando – a riconoscere la specificità della sofferenza ebraica sotto il nazismo. 

Il ruolo di Staro Sajmište

Non sappiamo se si tratta di un altro espediente per consolidare quel vittimismo parallelo speculare tanto caro alla classe dirigente serba. Sappiamo però, attraverso le parole di Petrov, che lo scopo della mostra è quello di rendere noto il “poco conosciuto destino dei serbi morti a Staro Sajmište dal 1942 al 1944” e porre così rimedio a questa ingiustizia storica informando l’opinione pubblica locale e internazionale del “tragico destino patito dai serbi”. Una narrazione che il presidente Vučić rincorre da anni. In quest’ottica, la Cultural Development Strategy of the Republic of Serbia 2020-2029 precisa che “l’esperienza del genocidio durante il XX secolo ha segnato profondamente la storia del popolo serbo”, che il genocidio è “una componente inevitabile della coscienza storica”, e che il memoriale di Staro Sajmište sarà coinvolto nello studio e nella presentazione al pubblico serbo e internazionale dello sterminio del popolo serbo. Affidando al memoriale la missione di presentare al mondo la sofferenza del popolo serbo nel Novecento, Vučić intende dunque perseguire l’attuale progetto politico che presuppone, grazie alla strumentalizzazione dell’Olocausto e a una retorica di equiparazione delle sofferenze, la realizzazione per i serbi di un diritto a non essere dimenticati.

Il memoriale rende noto che contribuirà alla creazione di una nuova e più sana cultura della memoria in Serbia. Un obiettivo arduo, tanto più quando si tratta della memoria dell’Olocausto; perché il vero progresso richiede istituzioni e protagonisti che non abbiano timore di mettere in discussione in maniera critica la cultura del ricordo e le rappresentazioni della storia e del simbolismo di Staro Sajmište. È necessario un nuovo approccio, in cui l’Olocausto sia trattato come un aspetto unico della storia di Staro Sajmište e della storia della Serbia in generale. Altrimenti, il memoriale dedicato al più grande campo di concentramento della Serbia occupata, invece di un degno monumento alla memoria delle vittime, sarà solo un ricordo duraturo di tutte le lacune storiche accumulate negli anni, e della politica del ricordo che ha segnato il periodo successivo alla Seconda guerra mondiale.

Photo: slobodnaevropa.org 

Chi è Paolo Garatti

Storico e filologo, classe 1983, vive in provincia di Brescia. Grande appassionato di Storia balcanica contemporanea, ha vissuto per qualche periodo tra Sarajevo e Belgrado dove ha scritto le sue tesi di laurea. Viaggiatore solitario e amante dei treni, esplora l'Est principalmente su rotaia

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