In esposizione al Mudec di Milano le opere di Chagall legate al retaggio yiddish e culturale degli ebrei dell’Europa orientale
Intorno ai retaggi familiari e religiosi, ai luoghi del cuore e all’amore per la moglie Bella Rosenfeld, si dipana un Marc Chagall meno noto, meno colorato e forse più intimista: è quello in mostra al Museo delle culture (Mudec) di Milano, dove fino al 31 luglio sono esposte oltre cento opere dell’artista originario di Vitebsk, oggi città di 350mila abitanti nel nordest della Bielorussia, ma un tempo popoloso shtetl della zona in cui nella Russia zarista era consentito l’insediamento degli ebrei.
La mostra
“Marc Chagall, una storia di due mondi” è il nome della pregevole esposizione realizzata grazie all’Israel Museum di Gerusalemme. È composta da opere donate in gran parte da familiari e amici del pittore, ed è divisa in quattro aree: ‘Cultura ebraica e yiddish’, ‘Nostalgia’, ‘Fonti di ispirazione’ e ‘Francia, la nuova patria’. Acqueforti, acquarelli, inchiostri, stampe, oli e pastelli a cera portano il visitatore, attraverso disegni e dipinti in alcuni casi tra i meno celebri, dentro il forte legame tra Chagall e la sua più profonda anima ebraica che ne è stata costante fonte di ispirazione.
Il piccolo ebreo di Vitebsk
“Io sono un piccolo ebreo di Vitebsk. Tutto ciò che dipingo, tutto ciò che faccio, tutto ciò che sono, altro non è che il piccolo ebreo di Vitebsk”: con queste parole, che campeggiano su un muro della prima sala della mostra, Chagall evocava la sua anima yiddish. Un’anima che si presenta subito con forza all’inizio dell’esposizione, che introduce un artista insolito se si è abituati a pensarlo come quello colorato che sboccia invece nelle parte conclusiva.
Questa “storia di due mondi” evoca la nostalgia, il ritorno ideale al paese natale e alle atmosfere dello shtetl, il villaggio tipico degli ebrei dell’Europa orientale spazzato via dall’Olocausto. D’impatto nella prima sala sono gli oggetti rituali esposti che si ritrovano nei disegni, le gigantografie di strade e sinagoghe, e soprattutto la musica in sottofondo che contribuisce all’immersione in un ambiente che era parte organica ma, per altri versi, estraneo o comunque parallelo alla Russia zarista.
Tra la Russia a Parigi
Ripercorrendo alcune fasi della vita artistica di Chagall, che morirà in Provenza nel 1985, le radici della Vitebsk yiddish si intrecciano con la storia d’amore con Bella, scrittrice per la quale illustrò i libri “Burning Lights” e “First Encounter”, pubblicati dopo la morte prematura della donna amata dal pittore. Ecco allora i disegni che ritraggono il loro primo incontro o il negozio di famiglia dei Rosenfeld, che si alternano alla misera casa natale dell’artista o ai ritratti di genitori e nonni nel costante ritorno alle origini.
Il “piccolo ebreo” nelle sale del Mudec diventa infine l’artista al quale vengono commissionate opere per illustrare “Le anime morte” di Nikolaj Gogol’ e le “Favole” di Jean de La Fontaine, quest’ultime finalmente colorate che, non senza sollevare polemiche, gli affidò l’editore francese Ambroise Vollard. L’esposizione si chiude con la Francia, nuova patria del pittore, e a corollario di tutto un’installazione multimediale di fiori lavorati a tombolo e a fuselli si tinge man mano, sprigionano i vitali colori della tavolozza dell’ultimo e più noto Chagall.
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Immagine: L’arrivo del consigliere di collegio Pavel Čičikov nel capoluogo del governatorato illustrato da Chagall esposto al Mudec