Azovstal

UCRAINA: Il soldato dell’Azovstal, ed è subito sera

Visual literacy è la capacità di interpretare e dare significato alle immagini cui – sempre più – veniamo sottoposti, oltre che di crearne a nostra volta. La guerra ci ha fatto comprendere una volta di più quanto sia importante il ruolo delle immagini che osserviamo, a partire dal riconoscimento di un fake fino ad un’appropriata lettura del messaggio in esse contenuto.

Il soldato dell’Azovstal

Nell’imminenza della conquista russa del complesso di Azovstal a Mariupol’, un soldato del battaglione Azov che vi era asserragliato da tempo – Dmytro ‘Orest’ Kozatsky – ha voluto condividere le foto scattate durante l’intero arco della sua permanenza.

Poco prima di essere catturato, sul proprio profilo Twitter Kozatsky ha scritto: “Bene, questo è tutto. Sono grato ad Azovstal per il rifugio, il luogo della mia morte e della mia vita. A proposito, mentre sarò in prigione, vi lascio le mie foto, mandatele per me a tutti i premi giornalistici e ai concorsi fotografici. Se vincerò qualcosa, sarò davvero felice di saperlo dopo il mio rilascio. Grazie a tutti per il vostro sostegno. Ci vediamo”.

Le immagini sono tutte oggettivamente meritevoli di essere guardate ed approfondite, al punto da tradire la “mano” professionale di chi le ha scattate. Ce n’è una, in particolare, che tuttavia ha rapito l’attenzione del pubblico mondiale, Italia inclusa. Si tratta di quella in cui il soldato ritratto spalanca le braccia ad un raggio di luce azzurra che lo “trafigge” dall’alto, intitolata semplicemente 16/5/22 Azovstal.

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La ragione primaria della notorietà riscontrata da quest’immagine risiede nella tangibilità di due dimensioni che si incontrano: la vita e la morte, il terreno e il divino. Tutt’intorno al soggetto, la devastazione e l’orrore della guerra, i calcinacci a terra, i tralicci divelti; a questa cornice fa da contrasto, però, la posa del soldato, che sembra aprirsi serafico al messaggio della luce proveniente dall’alto. Egli pare aver travalicato, ormai, il confine dell’orrore bellico per proiettarsi verso il futuro, a prescindere da ciò che lo attende: Azovstal diventa davvero “luogo della mia morte e della mia vita”. L’accettazione del proprio destino avviene con serenità per la convinzione di aver combattuto fino alla fine per i propri ideali, condivisibili o meno.

In questo senso la foto rimanda a una delle terzine più famose di Salvatore Quasimodo, ovvero Ed è subito sera (1930): “Ognuno sta solo sul cuore della terra/trafitto da un raggio di sole:/ed è subito sera”. Una poesia, quella dell’autore siciliano, piena di contrasti al pari della foto di Kozatsky: la solitudine pur essendo “sul cuore della terra” (e qui l’identificazione con Azovstal scatta immediata), il raggio di sole che trafigge e, dunque, trasforma in un attimo il giorno nella sera, la vita nella morte. Immaginiamo tutti di essere soli come quel soldato in attesa del trapasso; solo gli invidiamo la quiete del momento, espressa dalle braccia che si aprono alla luce.

Come spesso accade per delle foto che suscitino una così vasta eco, la spiegazione risiede anche nei legami alle tradizioni visive che esse stuzzicano. Il cinema ci ha abituati a scene che raffigurano in modo simile tra loro il passaggio verso un’altra dimensione, questa volta intesa, però, come spazio tangibile. In Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) ed E.T. l’extraterrestre (1982) Spielberg immagina il ritorno degli alieni alla loro navicella spaziale, e poi a “casa”, come nella foto scattata dall’interno di Azovstal, ovvero con un fascio di luce azzurra che si cala dall’alto verso il soggetto da trasportare. È anche per il collegamento che poniamo (inconsciamente?) in essere con il nostro bagaglio visuale che per noi il soldato nell’immagine non è prossimo alla morte: semplicemente, sta per essere condotto in un’altra dimensione, forse anche lui a “casa”.

Il cinema ci viene incontro anche nella “lettura” della posa del soggetto nell’immagine. Se guardiamo ad Azovstal come una delle cornici post-industriali tanto in voga nei film contemporanei, potremo azzardare un paragone tra il soldato immortalato in foto e alcuni eroi del cinema odierno. Joker interpretato da Joaquin Phoenix (regia di Todd Philips, 2019), ad esempio, è una figura che può essere avvicinata al soggetto immortalato da Kozatsky: posta la funzione imprescindibile della luce e del colore in tutta la pellicola, la scena in cui Arthur balla sulle scale è quella che lega maggiormente le due immagini. È proprio questa scena che indica il passaggio da Arthur a Joker; si tratta, cioè, della prima, vera ripresa dell’eroe divenuto cattivo. Joker balla illuminato frontalmente dalla luce calda del sole, spalancando le braccia al proprio destino come il soldato di Azovstal. Anche in questo caso, la proiezione è verso la vita futura, che si ipotizza realizzata dopo l’accettazione di quel che si è e di quanto si è compiuto.

Prima di Joker, un’altra figura, proveniente anch’essa dal mondo dei fumetti, spalanca le braccia alla luce che lo attraversa dopo aver compiuto la propria vendetta: si tratta di Eric Draven, protagonista de Il corvo – The crow (regia di Alex Proyas, 1994). Eric resuscita a un anno dalla morte e, grazie all’intervento di un misterioso corvo, riesce a giustiziare chi ha ucciso lui e la sua fidanzata, Shelly. Anche in questo caso, la luce lo “cattura” dopo aver portato a termine il compito prefisso. Il fatto che l’attore che interpretava Draven, ovvero Brandon Lee, sia morto davvero durante le ultime battute del film per una pistola lasciata carica, ha spostato ulteriormente la conclusione della storia verso la dimensione dell’immortalità.

Il soldato di Azovstal ricorda da vicino i protagonisti delle pellicole citate, dunque, per la luce che lo invade e per il modo serafico in cui accetta la propria sorte; il fatto che si tratti di storie ispirate a dei fumetti, poi, lega assieme la sua uniforme, i costumi sgargianti di Joker e quello da Pierrot del Corvo. Quest’ultima figura era stata immaginata dal creatore del fumetto, James O’ Barr, tra il 1988 e il 1989, sulla spinta del look dei gruppi rock dell’epoca, Cure e Joy Division su tutti; ma sul suo modo di porsi ed esprimersi esercitano un’influenza evidente anche alcuni poeti come Blake o Baudelaire. Ecco, per concludere con un legame tra la foto in oggetto e la poesia occorrerà citare il Canto I del Paradiso della Divina Commedia, laddove Dante si sente trasumanar e dunque ascendere al Paradiso in virtù de la fiamma del sol. Salvador Dalì, commentando graficamente questo canto, immagina Dante con il sole alle spalle e, per l’appunto, una luce azzurra che lo accoglie di fronte.

Chi è Alessandro Ajres

Alessandro Ajres (1974) si è laureato all’Università di Torino con una tesi su Gustaw Herling-Grudziński, specializzandosi nello studio della lingua e letteratura polacca. Nel 2004 ha conseguito il dottorato di ricerca in Slavistica con un lavoro sull’Avanguardia di Cracovia, da cui scaturirà poi il volume Avanguardie in movimento. Polonia 1917-1923 (Libria 2013). Attualmente è professore a contratto di Lingua Polacca all’Università di Torino.

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