Gorizia

Gorizia divisa, storia del nostro muro

Un giorno di poco più di settant’anni fa, la signora Pina Zoff si trovò divisa tra due nazioni. Lei, i figli e la casa in Italia, mentre la sua stalla e le sue mucche erano finite in Jugoslavia. L’orto venne spaccato a metà: una parte nell’occidente capitalista e l’altra nell’oriente comunista. Così narra la leggenda raccontata da Francesco Cancellato nel libro Il Muro – La fine della Guerra in quindici storie.

Questo accadeva in una giornata normale, come tante se n’erano vissute nel dopoguerra. Una giornata in cui, con grande sacrificio, si provava ancora una volta a dimenticare le barbarie vissute, gli amici e i parenti caduti per interessi politici, ben lontani da quelli dei comuni cittadini, la fame e la povertà estrema provate sulla pelle fino a non molto tempo prima.

Era il 1947 e l’Italia aveva appena cominciato a saldare il suo debito per aver appoggiato la follia di Hitler. Perse possedimenti e colonie, Trieste restò in bilico, e Gorizia fu divisa a metà da un muro che, ancor prima di quello ben più famoso di Berlino, divenne il simbolo della separazione tra Est e Ovest. Tra Italia e Jugoslavia.

Ma a pagare per davvero, ancora una volta, furono i cittadini come la signora Pina Zoff e tanti altri, le cui vite furono radicalmente distrutte da un muro costruito con filo spinato e una serie di cavalli di Frisia in legno che dividevano le campagne, i terreni, le famiglie e che nessuno poteva attraversare. Almeno non legalmente.

Qualcuno ebbe la possibilità di scegliere da che parte del muro volesse stare, per evitare che la propria casa venisse tagliata in due come un’anguria. O ad Ovest o ad Est. O con la Repubblica Italiana e i suoi alleati o con Tito, la Jugoslavia e l’impero sovietico.

Ma la geopolitica non guarda in faccia nessuno e quel muro, oltre che l’intera città, spaccò a metà anche la storica Piazza Transalpina che, ancora oggi, ha il potere di raccontare ai suoi attenti osservatori il significato di tutta questa storia.

Così Nova Gorica nacque

Gorizia era una città fatta e finita. Nova Gorica possedeva solo metà della Piazza Transalpina, la storica stazione ferroviaria, sulla quale subito dopo la divisione venne affissa una gigantesca stella rossa accompagnata dalla scritta Mi gradimo socializem (Noi costruiamo il socialismo), qualche casa e quello che fu il cimitero di Gorizia, sulle cui ceneri vennero gettate le fondamenta per costruire la città simbolo del socialismo.

L’allora presidente della Jugoslavia Tito nutriva grandi speranze sulla Gorizia dell’Est, tanto che ne supervisionò personalmente la costruzione affidando lo sviluppo del piano urbanistico a Edvard Ravnikar, un tempo allievo di Le Corbusier.

All’epoca, Nova Gorica doveva gridare al mondo intero quanto bella e fiorente potesse essere una città costruita da zero. I suoi boulevard in stile francese dovevano parlare a chi, per scelta propria o della geopolitica, era rimasto dalla parte sbagliata del mondo.

Poi il sogno dell’icona socialista si interruppe per mancanza di fondi e a Nova Gorica cominciarono a spuntare come funghi i ruski bloki, i casermoni simbolo dell’architettura brutalista sovietica.

Restava una particolarità: fatto salvo per Piazza Transalpina, nessuna delle strade della città nuova si incontrava con quelle della città vecchia – tranne una: la Erjavčeva ulica era la continuazione naturale di via San Gabriele. Ravnikar, in un’intervista rilasciata un anno prima della sua morte, dichiarò che ai tempi non lo si diceva apertamente, ma si pensava che un giorno le due città si sarebbero riunificate.

L’architetto pupillo di Le Corbusier morì a Lubiana nel 1993, diversi anni prima di veder cadere il muro tra la sua Nova Gorica e l’altra Gorizia, di assaporare lo spirito di unità tra le due città come si era immaginato, ma visse abbastanza per vedere l’altro muro, quello arrivato dopo, fatto a pezzi da persone che non volevano più sentirsi una mera incarnazione geografica umana dei concetti di Est o di Ovest.

L’evoluzione del muro tra Gorizia e Nova Gorica

Negli anni Sessanta, la divisione tra est e ovest si fece più morbida. Con gli accordi di Udine, stipulati il 31 ottobre 1962, venne concesso agli abitanti delle zone limitrofe al confine la possibilità di effettuare un totale di quattro viaggi al mese al di là del muro, con un raggio di massimo 10 km. In seguito, con il Trattato di Osimo del 1975, vennero firmati degli accordi per la promozione della cooperazione economica tra Jugoslavia e Italia. Tuttavia, il muro rimase lì, sorvegliato dai militari che controllavano che non venisse oltrepassato.

Pochi giorni dopo la caduta del Muro di Berlino, anche quello di Gorizia fu oggetto di una manifestazione per abbatterlo definitivamente. Il politico missino Gianfranco Fini insieme ad una cinquantina di persone, tra civili e deputati, si presentarono nella Gorizia dell’Ovest muniti di piccone. Furono ovviamente fermati dai Carabinieri e il muro restò su.

Poco dopo la dissoluzione dell’URSS, nel 1991, in Slovenia scoppiò la Guerra dei 10 giorni che si concluse con l’indipendenza ufficiale dalla Jugoslavia e che segnò l’inizio delle sanguinose Guerre balcaniche, di cui ancora oggi si contano i morti.

Nonostante le tensioni sul confine, il muro sopravvisse ancora una volta.

Per vederlo finalmente scomparire dobbiamo aspettare l’11 febbraio del 2004, quando venne smantellato a seguito dell’entrata della Slovenia nell’Unione Europea. Tuttavia, per l’eliminazione dei controlli di frontiera e la definitiva unione tra le città di Nova Gorica e Gorizia bisognerà attendere il 20 dicembre del 2007, quando la Slovenia entra ufficialmente a far parte dell’area Schengen.

Oggi il muro è solo un ricordo, anche se nemmeno troppo lontano.

I figli e i nipoti di Pina Zoff, e di tutti coloro che quel mattino del 1947 sono stati svegliati dai soldati per la costruzione del muro di separazione che diede i natali a Nova Gorica, hanno amaramente potuto vivere sulla propria pelle cosa significa vivere al di là di una recinzione.

Nel 2020, infatti, la pandemia ha reso necessario l’innalzamento di un nuovo muro, seppur mobile, per la chiusura dei confini tra Slovenia e Italia. Muro montato e smontato più volte con l’obiettivo di tenere a freno i contagi e che, si spera, non dividerà più Nova Gorica dalla sua amata sorella Gorizia.

Nova Gorica, insieme a Gorizia, ha conquistato il titolo di Capitale europea della Cultura per il 2025 e conoscerne il passato può aiutare a guardare tutto sotto un’altra prospettiva. Il confine dipende sempre dalla prospettiva di chi guarda. E il “nuovo est” è molto più vicino di quanto abbiamo sempre creduto.

Immagine da Wikimedia Commons

Chi è Valentina Chiara Baldon

Classe 1986, da sempre innamorata della comunicazione in tutte le sue forme. Le parole possono cambiare il mondo, ecco perché ha scelto di utilizzarle come strumento principale nel suo lavoro. SEO copywriter e Social media manager per professione, aspirante giornalista per passione. East Journal è la prima testata con cui collabora.

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