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Il lascito architettonico dell’occupazione italiana del Dodecaneso

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Il governatore Mario Lago

I 25 anni di colonizzazione italiana del Dodecaneso hanno lasciato un’impronta architettonica rilevante che vale la pena indagare…

Il Dodecaneso (dodici isole) è un arcipelago dell’Egeo sud-orientale, ceduto al Regno d’Italia nel 1912 in seguito alla guerra italo-turca. La colonizzazione italiana iniziò negli anni ’20 e accelerò sotto Mussolini negli anni ’30.

Dopo dieci anni di amministrazione militare, il primo governatore civile fu il diplomatico liberale cuneese Mario Lago, che si distinse per la politica lungimirante e rispettosa dell’identità etnica e culturale degli abitanti della colonia e per un grande piano di opere pubbliche. Lago favorì l’integrazione di greci, turchi ed ebrei ladinos dell’isola di Rodi con i coloni italiani e incoraggiò i matrimoni misti, tanto che il periodo del suo governatorato viene definito da alcuni come “l’età dell’oro” del Dodecaneso italiano, con un’economia in espansione e una società relativamente armoniosa. I primi edifici costruiti durante l’occupazione italiana erano in stile mediterraneo/orientalista, che combinava elementi bizantini, veneziani e ottomani, riflettendo la storia delle isole. Si trattava perlopiù di edifici pubblici (municipi, poste, autorità portuali, ecc.) ancora oggi in uso.

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Florestano Di Fausto

Negli anni ’30 Mussolini intensificò l’italianizzazione delle isole. Come nella madrepatria, i nuovi edifici erano in stile razionalista. Furono inoltre costruite intere cittadine per i coloni italiani, in particolare Portolago (ora Lakki), sull’isola di Leros. Nonostante un’impronta architettonica significativa, la colonizzazione fascista fu un fallimento. Nel censimento finale del 1936, i 7.015 coloni italiani rappresentavano solo il 5% della popolazione del Dodecaneso, concentrati a Rodi. Dopo che le isole furono cedute alla Grecia alla fine del secondo conflitto mondiale, i coloni rientrarono in Italia, e tutte le scuole italiane chiusero.

Il lascito architettonico di Florestano Di Fausto

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Palazzo del governatore, Rodi

Artefice maggiore del lascito architettonico italiano nell’Egeo fu Florestano Di Fausto (1890-1965), definito “architetto del Mediterraneo“. Architetto e ingegnere civile, negli anni ’20 Di Fausto progetta le ambasciate italiane a Belgrado e Ankara e la legazione al Cairo, oltre a proporre diversi progetti per il centro di Roma capitale del fascismo.

Nel 1923 Di Fausto entra alle dipendenze di Mario Lago, e tre anni dopo completa il piano regolatore di Rodi, che conserva la città vecchia medievale, ed edifica la nuova città-giardino (Foro Italico) fuori dalle mura antiche, sulla base dell’antico piano di Ippodamo di Mileto. Di Fausto ne progetta gli edifici in stile eclettico, mescolando elementi bizantini, ottomani, rinascimentali, veneziani, cavallereschi e locali.

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Mercato coperto di Rodi

Tra le sue opere il Palazzo del Governatore, in gotico veneziano, del 1926; l’edificio neorinascimentale delle Poste del 1927; la cattedrale di San Giovanni dei Cavalieri (oggi chiesa greco-ortodossa dell’Evangelismos), distrutta nel 1856 e ricostruita tra grandi polemiche nel 1924-25; il Grande Albergo delle Rose, oggi Casinò Rhodos, costruito con Michele Platania, purtroppo spogliato da ogni decorazione Art Deco a fine anni ’30 dal governatore Cesare Maria de Vecchi; il Circolo Italia, la Banca d’Italia, il Tribunale, la scuola femminile e su tutti il ​​Mercato Nuovo (Nea Agora), al centro della città nuova, una struttura poligonale in stile orientale.

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Municipio di Kos

Di Fausto fu attivo anche a Kos, dove progettò il Palazzo del Governo (1927–29) e la chiesa cattolica dell’Agnus Dei (1927), costruita con Rodolfo Petracco, a pianta centrale e campanile affusolato sulla facciata, considerato la sua opera migliore nel Dodecaneso; a Kastellorizo, dove eresse il Palazzo del Delegato; e a Calimno e Lero.

Il lavoro di Di Fausto a Rodi e dintorni si arresta nel 1927 per una disputa legale con il governatore Lago: nella memoria, Di Fausto afferma di aver progettato non meno di 50 edifici, di cui 32 già costruiti o in costruzione. Di Fausto proseguirà a lavorare in Albania e in Libia fino al secondo dopoguerra, costruendo tra l’altro l’Arco dei Fileni

L’opera di Di Fausto, “architetto del Mediterraneo”

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ex Casa del Fascio, Kos

Di Fausto faceva parte di un gruppo di giovani architetti, di estrazione razionalista, che rivalutarono l’architettura vernacolare del Mediterraneo (Sud Italia, isole greche, costa nordafricana), traendo da questa “architettura senza architetti” un concetto di mediterraneità. Tale nozione sarà poi strumentalizzata dalla propaganda fascista come giustificazione dell’espansione imperialista.

Nel suo unico scritto, pubblicato nel 1937, Di Fausto afferma: “L’architettura è nata nel Mediterraneo e ha trionfato a Roma nei monumenti eterni creati dal genio della nostra nascita: deve, quindi, rimanere mediterranea e italiana”. Capacità tecniche ed entrature politiche permettono a Di Fausto di mettere in pratica la sua concezione in molteplici progetti in Dodecaneso, Albania, Libia e Italia. Per questo, viene definito “architetto del Mediterraneo“.

Il suo imprinting razionalista è temperato dall’attenzione al contesto: “Nessuna pietra fu posta da me senza essermi preventivamente riempito dello spirito del luogo, in modo da farlo mio”. Ciò si traduce nella ricerca di un equilibrio tra architettura tradizionale e moderna, eclettismo e razionalismo, che causò a Di Fausto attacchi da entrambe le parti – neoclassicisti e razionalisti.

Secondo Vittorio Santoianni, Di Fausto fu “un insuperabile modello di architetto professionista che, grazie ad una notevole preparazione unita a consumata abilità, seppe padroneggiare e utilizzare indifferentemente, e in qualsiasi contesto geografico, ogni possibile stile: dal moresco al gotico veneziano, dal rinascimento al Novecento, riducendo anche il linguaggio razionalista a un altro stile moderno.”

Per approfondire:

Foto: Bernard Gagnon, CC BY-SA

Chi è Andrea Zambelli

Andrea Zambelli è uno pseudonimo collettivo usato da vari membri della redazione di East Journal.

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