REP. CECA: Scene di caccia in Bassa Boemia

di Gabriele Merlini


Casomai qualcuno non lo sapesse: il patrimonio UNESCO è composto anche dalla cultura immateriale di un luogo. Presso la sede dell’ambasciata italiana a Berlino il dato mi viene sottolineato da un pool di esperti nel corso di una conferenza a tema, aperta e chiusa da catering con eccellenti vini bianchi. Tuttavia l’iter per entrare nel club non è tra i più agili e richiede numerosi passi.
Jaroslav Kostečka è il segretario della Českomoravská myslivecká jednota (l’associazione ceca dei cacciatori, gruppo il cui simbolo è un cervo dall’aria comprensibilmente afflitta*) e spiega che la caccia è stata di recente inserita nella lista del patrimonio culturale immateriale ceco. Ciò risulterà ottimo viatico per raggiungere la quota UNESCO.
Dovere di cronaca impone di ricordare altri elementi della cultura immateriale ceca presenti nel club: la danza del sud-est moravo chiamata verbunk (o verbounko o verbunko o verbunkas o werbunkos o werbunkosch o verbunkoche. In ogni caso derivazione dal tedesco werben), la falconeria, la cavalcata dei re di Vlčnov (o Jízda králů. Sfilata di costumi che si tiene in maggio nella quale un fiume di persone coloratissime invadono le strade di una città minuscola), le maschere carnevalesche e tradizioni della zona di Hlinsko in Boemia orientale.

A seguito dell’upload venatorio il ministero della cultura a Praga ha prevedibilmente dichiarato che la caccia non deve essere intesa soltanto come l’atto di prendere la mira e fare fuori un animaletto ma qualcosa che racchiude usanze rituali a rischio d’oblio perciò da tutelare.
Da assoluto inesperto dell’argomento riesco con difficoltà a comprendere le sfumature della frase di Kostečka: «la caccia in Repubblica Ceca è fenomeno straordinario che può difficilmente essere confrontato con qualsiasi altra cosa» (da České noviny.) Per tanti la caccia sarebbe infatti non un semplice hobby ma uno stile di vita, sebbene ciò suppongo che valga in molte parti del mondo.

Il Českomoravská myslivecká jednota può vantare circa ottantamila iscritti tra i quali (le maglie qui sono evidentemente larghe) i suonatori di corno e gli scrittori di letteratura di caccia. Ampio è d’altronde lo spettro delle tradizioni in questione e parrebbe una ingiustizia lasciare fuori anche gli stilisti di abbigliamento da caccia.

Per radicata inclinazione personale non ho approfondito lo studio della sezione «stages» ma ammirevole risulta l’esigenza conseguente lo status di patrimonio nazionale di implementare la collaborazione tra cacciatori della zona centro-europea (boemo-moravi con ungheresi, slovacchi e polacchi) riproponendo, appostati dietro un cespuglio, una specie di Visegrad Group** al limitare del bosco con carabina e calibro dodici. Sia mai sappiano centrare il bersaglio meglio del corrispettivo politico.

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3 commenti

  1. Francamente è da un po’ che l’Unesco manca di ogni dignità

  2. Credo che l’Unesco sia una delle tante inutili fabbriche di proclami legate alla flaccida e inconcludente politica di un’ONU che a nessun paese interessa far funzionarie. Quello che è certo è che in questi paesi l’attività venatoria è stata programmata e gestita con oculatezza, e costituisce un ‘importante risorsa economica e turistica e certamente anche culturale, perchè no, in quanto legata alla ruralità di luoghi spesso minacciati da ben altri pericoli. Da modesto esperto della materia mi riservo di intervenire con calma, e ringrazio l’autore per aver toccato una delle questioni per cui l’est è da ritenersi un modello.

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