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LIBRI: “Il Pioniere”, ricordare oggi la Jugoslavia, di Tatjana Djordjevic Simic

“Nessuno immaginava che sarebbe successo quello che è successo”. Si sintetizza così il ricordo che molti jugoslavi hanno oggi della vigilia dei funesti anni Novanta, quando il vortice nazionalista si poil pionierertò via la federazione fondata sulla Fratellanza e l’Unità. Principi cardine di un paese, ma anche di un’intera generazione, quella dei “pionieri di Tito”, che a lui e al suo sistema socialista giurarono fedeltà, salvo poi ricredersi, votarsi ad altri ideali, o emigrare conservando dentro di sé quella nostalgia che ha preservato in migliaia di persone il ricordo del paese di cui sono rimaste orfane. Tatjana Djordjevic Simic, giornalista serba che vive in Italia da molti anni, è una di loro, uno di quei pionieri che ha visto crollare la Jugoslavia. East Journal l’ha intervistata per presentare il suo libro, “Il Pioniere” (125 pp.), romanzo pubblicato nel giugno 2021 da Besa Muci Editore che sarà presente anche al prossimo Salone del Libro di Torino.

Anche se il protagonista del Pioniere è un uomo, si può dire che si tratti di un libro autobiografico. In che modo Bosko rappresenta Tatjana?

La storia di Bosko mi riguarda molto. Ma questo libro, tramite il suo protagonista, racconta anche le storie vissute delle persone a me care: miei amici, parenti o anche conoscenti.

Oltre che dei tuoi percorsi di vita, il Pioniere è anche il racconto delle trasformazioni subite dal tuo paese. Come si intrecciano le due cose?

Il Pioniere vola nel tempo, cominciando con la visione fanciullesca nei confronti di un paese ovvero l’ex Jugoslavia, poi la visione di un adolescente sui fatti accaduti all’epoca in quel paese, ed alla fine la consapevolezza di un adulto, di che cosa è successo, a lui e alla sua terra. Volevo raccontare la vita e la visione di una generazione (la mia) che ha vissuto in un paese, basato sui valori di fratellanza e unità, per poi finire in un conflitto, il più brutale in Europa dopo la Seconda guerra mondiale, quindi dissolversi. Tanti cambiamenti in pochi anni, per essere digeriti bene da parte di un bambino e poi adolescente ovvero il protagonista del libro, Bosko.

Chi e dove sono oggi i pionieri? Sono tutti emigrati e nostalgici?

Ci sono i pionieri nostalgici e meno nostalgici. Ci sono i pionieri che sono emigrati, ma anche quelli che sono rimasti nei paesi d’origine. Ci sono quelli che sono orgogliosi di essere stati pionieri di Tito, ma anche coloro che si vergognino di aver fatto il giuramento al presidente e allo stato. Mentre in alcuni paesi dell’ex Jugoslavia c’è la tendenza a cancellare una parte della storia che riguarda l’epoca jugoslava, in altri la memoria vive.

Si potrebbe quasi dire che gli ex pionieri che oggi vivono all’estero siano più spaesati, forse addirittura estranei, nel loro paese d’origine che in quello d’adozione…

Un mio amico recentemente ha detto che grazie alla guerra, lui ha visto il mondo. Da bambino con i genitori si è rifugiato in Serbia, scappando dalla guerra in Croazia. Poi è emigrato in Italia per finire poi a vivere in Australia. Oggi è tornato in Croazia. Spaesati o no, non so. Penso che sia una cosa molto individuale. Per quanto mi riguarda, io mi sento a casa sia in Serbia che in Italia. Ma anche mi sento come se fossi a casa mia quando sono in Croazia, dove tra l’altro passo molto tempo avendo la casa anche lì.

Il tuo libro rompe alcuni cliché sui serbi, in primis il loro nazionalismo. Quanto e perché è importante dare voce e spazio a queste narrazioni “controcorrente”?

È molto importante, forse anche per questo ho scritto “Il Pioniere”. Da giornalista che tratta gli argomenti che riguardano i Balcani Occidentali, quando torno in Serbia succede che mi dicano che non amo abbastanza il mio paese, in quanto ho scritto un articolo che parla dei crimini della guerra da parte dei serbi. Quando vado in Croazia, alcuni vicini dicono “è arrivata la giornalista serba”. Negli ultimi 25 anni le informazioni che riguardano il nostro conflitto, ma soprattutto le informazioni percepite dal mondo Occidentale, erano molto lineari. È molto facile generalizzare. Si dice che in un conflitto ci sono le due parti, il cattivo e la vittima. Ma in un conflitto ci sono anche “gli uomini buoni nel tempo di male”. Per fortuna, c’erano tanti uomini buoni tra il popolo serbo, in quello croato o quello bosniaco. Tutt’ora, ci sono molte persone che non hanno voluto fare la guerra e che non odiano nessuno. D’altra parte, il nazionalismo che comunque esiste in Serbia o in Croazia è l’arma più potente spesso usata per scopi politici.

Quanto pesa l’eredità degli anni Novanta sulla Serbia di oggi e in generale nei Balcani?

Pesa ancora molto. Ci sono le giovani generazioni che non hanno vissuto la guerra, ma che attraverso i genitori hanno sviluppato un forte sentimento per il nazionalismo. Si fa ancora poco per accettare la verità dei fatti accaduti nel passato. La Serbia oggi è un paese polarizzato, sia politicamente che culturalmente. È un paese democratico per definizione, come tutti gli altri paesi dell’ex Jugoslavia, ma, in realtà, si tratta di una democrazia ibrida o imperfetta, in cui manca una vera cultura democratica. Quello che sicuramente abbiamo ereditato, e non solo dagli anni Novanta, è un leader forte capace di governare il paese finché sta in salute, come una volta ha detto il presidente attuale della Serbia.

 

Lunedì 11 ottobre, alle ore 18 e 30, East Journal presenterà attraverso i propri canali multimediali il libro “Il Pioniere”, insieme all’autrice Tatjana Djordjevic Simic

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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