Havel

REP. CECA: Cara Olga, le lettere dal carcere di Václav Havel

Václav Havel è una figura fondamentale della storia del secondo Novecento cecoslovacco, a cui è anche stato dedicato di recente il film Havel realizzato dal regista Slávek Horák. Fu una delle punte della dissidenza durante gli anni del Comunismo e, dopo la Rivoluzione di Velluto del 1989, il primo presidente della Cecoslovacchia libera dai dettami del regime. Tra gli avvenimenti che caratterizzarono la tutt’altro che ordinaria vita di Havel spicca l’incarcerazione tra il 1979 e il 1983, avvenuta a causa della sua attività di dissidente. Sebbene faccia riferimento a questa sua esperienza nel libro Interrogatorio a distanza, il testo in cui leggerne la testimonianza più vivida è tuttavia la raccolta di lettere inviate alla moglie in quegli anni.

La lettera a Husák e Charta 77

Con la fine della Primavera di Praga e la deposizione di Dubček a favore di Husák ha inizio in Cecoslovacchia il periodo noto come Normalizzazione. Sin dai primi anni Settanta, Havel diviene il fulcro attorno al quale iniziano a radunarsi i rappresentanti della dissidenza. Per questo motivo viene espulso da ogni aggregazione ufficiale e inizia ad essere accusato di essere un nemico dello stato.

Il 1975 è l’anno in cui Havel scrive di getto una lettera direttamente indirizzata a Husák, con la quale cerca di analizzare la situazione sociale e la profonda crisi “spirituale” del paese. Definito da Havel stesso come un “gesto di autoterapia”, segna in certo senso una cesura nella sua vita di dissidente e una dichiarazione ufficiale delle proprie posizioni nei confronti del regime.

Il 1977 è invece l’anno di Charta 77, documento che venne firmato da numerosi intellettuali, anche successivamente, e che rappresentò un organo fondamentale della dissidenza cecoslovacca fino al crollo del regime. Questa si prefigurava come l’espressione di una volontà collettiva degli intellettuali che si opponevano alla politica di Husák, sottolineando tra le altre cose l’importanza di difendere le libertà del singolo.

“Lo scherzo è finito”: gli anni del carcere

Durante la sua permanenza in carcere Havel scrive continuamente lettere alla moglie Olga, che si distribuiscono in un arco di tempo che va dal 4 giugno del 1979 al 4 settembre del 1983. Probabilmente già concepite per una successiva pubblicazione, queste presentano un carattere particolarmente letterario. Incredibilmente sopravvissute alle strette maglie della censura, le Lettere a Olga vengono pubblicate in samizdat poco tempo dopo la scarcerazione e sono anche edite in italiano dalla casa editrice trevigiana Santi Quaranta (2010).

La pubblicazione era stata possibile per il fatto che queste rivelano sì un carattere intimo, ma al tempo stesso ponderato da continue riflessioni che sfociano nel metafisico. Questa decisione di renderle pubbliche incontrò, in realtà, molte critiche da parte di altri intellettuali, prima tra tutte quelle di Milan Kundera nel definirle in termini di “esibizionismo morale” dell’autore.

La figura di Olga viene definita da Havel “l’unica sicurezza della sua vita”, una certezza concreta e un punto di fuga a cui rivolgersi anche solo con il pensiero durante i duri anni del carcere. Ma non è tutto: il ruolo di Olga fu infatti molto importante anche nel contesto della dissidenza, rafforzandosi proprio durante gli anni dell’assenza del marito.

Nonostante questo profondo legame, in realtà il rapporto tra i due non furono sempre così semplici, anche a causa della posizione sociale di Havel. Accanto a richieste di carattere quotidiano, come la manutenzione della loro abitazione a Hrádeček, si incasellano nelle lettere riflessioni di carattere profondamente filosofico incentrate sulla sua condizione di dissidente e sul significato stesso della prigionia.

Queste lettere, definite da Havel “spirali senza fine” in cui tentava di racchiudere qualunque cosa, rappresentano una testimonianza di un periodo di intensa riflessione personale.

La fine della prigionia e il ritorno alla normalità

Dopo la scarcerazione Havel trascorre, a causa di condizioni di salute precarie, un periodo all’ospedale di Pod Petřinen. Tra le visite della moglie, degli amici e la lettura di alcuni samizdat usciti nel frattempo, questi giorni di ricovero vengono vissuti come un sogno. Questo preludio al ritorno alla “normalità” viene infatti descritto come una sorta di limbo in cui assaporare una pace spirituale a lungo cercata.

La fine della prigionia rappresenta per Havel un ritorno ai suoi obblighi di dissidente nella lotta contro il regime. Questo ritorno si prefigura però in un impegno nuovo dal punto di vista spirituale, più maturo e con una coscienza più consolidata dei propri ideali, nonché della propria persona. L’uscita dalla cella, stilizzata come un luogo mistico dai caratteri quasi dostoevskiani, viene stilizzata come una sorta di evoluzione morale, una riconquista della vera libertà interiore.

 

Immagine: Olga e Václav/Wikimedia Commons

Chi è Martina Mecco

Dottoranda presso La Sapienza di Roma e l'Univerzita Karlova di Praga. Specializzata in lingua a letteratura ceca, i suoi interessi sfociano anche in altri ambiti letterari e culturali oltrecortina. Oltre alla sua collaborazione con East Journal è anche fondatrice e direttrice della rivista studentesca "Andergraund Rivista" e collabora col progetto "Estranei".

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