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BIELORUSSIA: Blindate le frontiere del paese

Nei prossimi giorni nuove misure restrittive verranno implementate dal governo al fine di prevenire la diffusione di coronavirus all’interno del paese. Ma è veramente il covid la ragione che spinge Aleksandr Lukashenko a chiudere le frontiere?

Per tutto il periodo precedente le elezioni presidenziali, da febbraio ad agosto 2020, Aleksandr Lukashenko ha ribadito l’inutilità di proteggersi dal Covid-19 che, secondo lui, non era altro che una “psicosi” dalle dimensioni globali. Continuare a guidare il trattore in campagna, bere vodka e frequentare la banja erano attività più che salutari  e sufficienti a evitarsi qualsiasi malanno, secondo il presidente. I numeri sembravano dargli ragione – almeno quelli ufficiali, ma molti medici dissentono.

Nei mesi la situazione è cambiata: la pandemia di Covid-19 resta un’arma da utilizzare nella sfida politica che vede lui, Lukashenko, contrapposto al movimento di opposizione guidato dal popolo, che ogni settimana da oltre quattro mesi si riversa nelle strade per manifestare contro il regime. 

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La chiusura delle frontiere (terrestri)

I cittadini bielorussi non potranno più lasciare il paese via terra: così è stato deciso il 7 dicembre, con una legge che integra la precedente in materia di prevenzione della diffusione del virus. La nuova legge prevede la chiusura temporanea dei confini in uscita per tutti i cittadini bielorussi, ma anche per gli stranieri che hanno un permesso di soggiorno, permanente o temporaneo che sia. Sono esenti i cittadini e i residenti stranieri con passaporto diplomatico, le delegazioni ufficiali, gli equipaggi e chi viaggia per lavoro, compresi gli autotrasportatori. 

Sarà permesso viaggiare solo in caso di malattia grave o decesso di un parente stretto, per ricevere assistenza medica o in caso di residenza per lavoro o studio in un paese straniero (ma anche in questo caso, non si potrà varcare i confini più di una volta ogni sei mesi). Per quanto riguarda invece gli ingressi, gli stranieri dovranno presentare il risultato negativo del test Covid-19, effettuato non più di 72 ore prima. 

Molti bielorussi hanno subito disegnato un parallelismo tra queste chiusure dei confini e quelle imposte dal regime sovietico volte a evitare la fuga di cittadini per fame e povertà. Come si legge su Charter97, infatti, Lukashenko deve contenere in qualche modo la fuga di cervelli che ha aperto una voragine in alcuni settori dell’economia bielorussa a partire da agosto: ingegneri, esperti IT, medici e artisti hanno lasciato il paese accolti in particolare dai paesi vicini, Polonia, Lituania e Ucraina in primis, andando tra l’altro a sostenere il lavoro del Consiglio di Coordinamento guidato da Svetlana Tichanovskaja a Vilnius.

Le restrizioni saranno applicate alle frontiere terrestri (automobilistiche, ferroviarie e fluviali). Il divieto di lasciare il paese non coinvolge, infatti, le frontiere aeree dove, scherzano i bielorussi, evidentemente “il virus non arriva”. Si possono ipotizzare due motivi dietro alla decisione di non chiudere l’aeroporto di Minsk. Il primo, condiviso da molti, riguarda l’opportunità di Lukashenko di lasciare il paese qualora le cose si mettessero davvero male per lui. La seconda, invece, riguarda più strettamente le abitudini dei bielorussi: i voli aerei hanno costi molto alti e in genere ci si reca a Vilnius o Varsavia via terra per poi volare da qui con le compagnie low cost. Inoltre, Polonia e Lituania sono i migliori alleati dell’opposizione e dell’emigrazione in generale, per vicinanza ma anche per storia comune e radici. Non dimentichiamo, inoltre, che Lukashenko si è visto negare l’ingresso in molti paesi: che si tratti di una sorta di ripicca?

Un’emergenza da non sottovalutare

Supposizioni a parte, il motivo ufficiale della chiusura delle frontiere è la diffusione del Covid-19, che adesso sembra essere diventato un problema anche per Lukashenko, da sempre negazionista. 

In questo momento in Bielorussia la situazione è preoccupante: gli ospedali di Minsk non danno più appuntamenti e non effettuano visite, nemmeno quelle di controllo per malati cronici, mentre l’intero personale sanitario è occupato a gestire la pandemia. Le emergenze sono ancora garantite, ma ogni medico è impegnato nel verificare e individuare casi di contagio, compresi neurologi, fisioterapisti, endocrinologi, persino gli studenti di medicina.

Le statistiche ufficiali non sono mai state affidabili e ancora oggi è difficile capire quale sia la situazione reale nel paese. Soltanto un mese fa, il vice primo ministro Ihar Piatryshenka ha ammesso che durante la prima ondata i contagi hanno toccato fino al 20% della popolazione, quasi due milioni di persone (diversamente dai 70.000 contagi che venivano comunicati in primavera dal ministero della Salute). Ad oggi non è ancora dato sapere quanti siano i morti: le stime ufficiali parlano di un migliaio, ma secondo fonti mediche si arriverebbe ad alcune decine di migliaia.

Qualsiasi sia la reale portata dell’epidemia Covid-19 in Bielorussia resta una domanda insoluta: la chiusura delle frontiere in uscita che tipo di impatto potrebbe avere, di preciso, sulla diffusione del virus all’interno del paese?

Immagine: belarusfeed

Chi è Anna Bardazzi

Nata nel 1982 a Prato, si è laureata in Scienze Politiche con una tesi sulla Bielorussia di Lukashenko. Dopo aver vissuto diversi anni all'estero è rientrata recentemente in Italia, dove si occupa di contenuti digitali e traduzioni. Il suo primo romanzo, La felicità non va interrotta, è uscito a marzo 2021, edito da Salani. Collabora con East Journal dal 2020.

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