Si è conclusa ieri, martedì 3 novembre, l’ultima udienza del processo di appello contro il soldato della Guardia nazionale ucraina Vitaliy Markiv, arrestato il 30 giugno 2017 in Italia con l’accusa di omicidio nei confronti del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli, ucciso il 24 maggio 2014 insieme al giornalista russo Andrej Mironov mentre documentavano il conflitto nel Donbas, in Ucraina orientale.
Nel luglio 2019, Markiv era stato condannato in primo grado a 24 anni di carcere dal tribunale di Pavia, nonostante le circostanze che portarono alla morte dei due giornalisti fossero ancora poco chiare. Dopo il rinvio a causa dell’emergenza Covid, il processo è iniziato lo scorso 29 settembre presso la Corte d’Appello di Milano: nel corso delle udienze sono state presentate alcune prove raccolte dalle autorità ucraine e da un gruppo di documentaristi italiani e ucraini. La vicenda giudiziaria che ha coinvolto Markiv è stata infatti affrontata nel documentario-inchiesta intitolato Crossfire, (inzialmente: The Wrong Place) di cui aveva parlato il giornalista Cristiano Tinazzi in un’intervista su Kiosk – Voci e idee da luoghi non comuni.
Il controverso processo a Markiv – e il caso Rocchelli nello specifico – è stato spesso criticato per la metodologia poco rigorosa da parte degli inquirenti e per l’influenza della propaganda russa e ucraina nello svolgimento delle indagini. Oggi Markiv è libero e può ritornare in Ucraina. Ma il caso è veramente chiuso?
Foto: Yaryna Grusha/Fb