La disputa greco-turca nel Mediterraneo orientale

“Coloro che presero di mira la nostra indipendenza un secolo fa furono seppelliti sottoterra o gettati in mare. Spero che oggi non paghino lo stesso prezzo”. Con queste parole, rivolte ai laureati dell’Università turca della Difesa Nazionale lo scorso settembre, il presidente turco Erdogan infiamma il confronto con Atene sulla disputa nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale. Le ambizioni geopolitiche ed energetiche di Ankara si uniscono alla controversia irrisolta nelle acque fra Grecia, Cipro e Turchia, dove un’enorme riserva di gas naturale fa gola ad attori regionali e non solo.

Origini e scenario attuale

Siamo nel 1913, quando a seguito della vittoria nella prima guerra balcanica la Grecia ottiene il controllo della quasi totalità delle isole dell’Egeo, confinando l’Impero Ottomano allo sbocco dei Dardanelli. Un assetto che verrà poi confermato dal Trattato di Losanna del 1923, che priverà però Atene dell’utopica Megali Idea di annettere la Tracia e l’Anatolia occidentale, casus belli della guerra greco-turca del 1919.

Nel febbraio del 2018, l’ENI ha rilevato un enorme giacimento di gas a largo delle coste cipriote, il Calypso-1, parte di una più vasta area di depositi di gas localizzata nel Mediterraneo orientale, le cui stime raggiungono i 3,5 bilioni di metri cubi. La scoperta di questo tesoro negli abissi hanno portato Italia, Egitto, Cipro, Grecia, Israele, Palestina e Giordania a promuovere l’East Mediterranean Gas Forum (EMGF), con l’ambizione di costruire un gasdotto sottomarino come nuovo canale di diversificazione energetica europea.

Il quadro giuridico

La Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS) firmata a Montego Bay nel 1982 stabilisce all’articolo 3 l’estensione delle acque territoriali di ciascuno stato fino a 12 miglia nautiche dalla costa. Inoltre, l’articolo 37 dello stesso documento riconosce un’ulteriore area di sovranità, la zona economica esclusiva (ZEE), per lo sfruttamento, appunto esclusivo, delle risorse presenti al di sotto e al di sopra delle acque che si estendono fino a 200 miglia nautiche dalle acque territoriali di ciascuno stato. Sebbene tutti i paesi costieri del Mediterraneo orientale riconoscano le proprie aree di competenze secondo questi principi, la Turchia non sembra stare a queste regole.

Rifiutando i principi della Convenzione del 1985, Ankara delimita la propria ZEE attraverso un diverso approccio, secondo cui la massa territoriale di uno stato si estenderebbe anche sott’acqua fino al limite della piattaforma continentale, rivendicando quindi un’area molto più estesa e rigettando il principio per cui anche alle isole possa essere riconosciuta una zona esclusiva oltre le 12 miglia nautiche delle acque territoriali. Derogando a quest’ultimo principio, sia Cipro che le isole orientali del Dodecaneso vengono private di un’ampia area, a tutto beneficio della Turchia.

Tra cooperazione regionale e realpolitik

Alla ricerca di nuove risorse energetiche e in lotta con un crescente isolamento regionale, Ankara sigla nel novembre 2019 un accordo con il governo di unità nazionale libico di Al-Sarraj sulla delimitazione marittima fra le ZEE libica e turca. Un accordo che spezza l’enosis marittima tra Atene e Nicosia e che riceve la condanna da parte dei paesi EMGF, i quali parallelamente nel gennaio di quest’anno hanno rinnovato gli sforzi di cooperazione regionale istituzionalizzando l’EastMed Forum attraverso un accordo quadro firmato al Cairo.

L’avvio delle operazioni di ricerca di idrocarburi della nave turca Oruc Reis a largo dell’isola greca di Kastellorizo, situata a meno di 2 chilometri dalla costa meridionale dell’Anatolia e a 600 dalla penisola ellenica, ha incontrato la risposta della Grecia. Tra giugno e agosto, Atene ha stabilito le proprie ZEE rispettivamente con Roma nello Ionio e con Il Cairo nel Mediterraneo, quest’ultimo in sovrapposizione con l’asse turco-libico. La questione sembra alimentare l’interesse di Parigi: la Francia aspira a entrare nell’EMGF e rafforzare così il proprio ruolo nel fu mare nostrum; inoltre, si è da subito schierata a difesa del diritto sovrano di Atene. Unione Europea e Nato si trovano a ricoprire un ruolo di mediazione in questo contesto.

La sfida del Mediterraneo orientale rappresenta per Ankara il teatro principale della dottrina politica Mavi Vatan, la “Patria Blu” evocata dall’ammiraglio Gürdeniz, che vedrebbe nella ripresa dei mari (tra cui la riscoperta del Mar Nero) la rinascita geopolitica della Turchia all’alba del centenario dalla sua fondazione. D’altro canto, le attuali tensioni rischiano di trasformare la regione in una polveriera, ostruendo i tentativi di cooperazione in atto.

Chi è Marco Alvi

Laureatosi in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali al L'Orientale di Napoli, continua i suoi studi magistrali al corso di Interdisciplinary Research and Studies on Eastern Europe (MIREES) dell'Università di Bologna. Si interessa da lungo tempo di Caucaso e conflitti etnici, a cui si aggiungono diverse esperienze pratiche nella regione caucasica. Dopo aver vissuto in Russia e in Azerbaigian, inizia a scrivere per East Journal occupandosi di sicurezza energetica, conflict resolution e cooperazione tra Caucaso, Mar Nero e Mediterraneo orientale.

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