LGBT Polonia

POLONIA: L’UE taglia i fondi alle zone “LGBT free”, ma il governo reagisce

“Vorrei essere inequivocabile: le zone che non hanno posto per le persone LGBT sono zone che non hanno posto per l’umanità e non hanno posto nella nostra Unione”. Sono queste le parole pronunciate a settembre da Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, mentre annunciava un piano per rafforzare i diritti delle persone LGBT, promuovere l’uguaglianza e combattere le discriminazioni. La presidente non ha puntato il dito contro un paese, ma il riferimento alla Polonia e al governo locale è stato chiaro.

La ‘carta per i diritti della famiglia’

Per capire le ragioni di questo scontro tra Varsavia e Bruxelles, occorre fare un passo indietro. Nel 2019, circa 80 istituzioni comunali e regionali del sud-est della Polonia hanno approvato la “carte per i diritti della famiglia”, con l’intento di proteggere il matrimonio, la famiglia tradizionale e l’impegno a ‘difendere’ i minori dalle questioni di genere. Indirettamente, questi territori hanno scelto di essere poco tolleranti nei confronti della comunità LGBT, come segnalato dall’Osservatorio internazionale dei diritti umani (IOHR). Le dichiarazioni in questione non hanno valore legale, bensì un obiettivo preciso: il contrasto delle attività pubbliche dirette a promuovere quella che il governo conservatore definisce “l’ideologia LGBT, orientata all’annientamento dei valori plasmati dall’eredità secolare del cristianesimo”.

In risposta a questa vicenda, sia il Parlamento che la Commissione europea hanno più volte ricordato alle autorità polacche che le attività dei beneficiari dei fondi strutturali devono essere conformi alla legge europea e rispettare i diritti civili e sociali. Alcune città europee hanno poi scelto di ‘rompere’ il gemellaggio con diversi comuni polacchi, ma il governo ha deciso di non intervenire e ha respinto ogni accusa di omofobia.

La risposta dell’Unione europea e la reazione del governo polacco

La svolta è arrivata a fine luglio, quando l’UE ha congelato le sovvenzioni del programma di gemellaggio Europa per i cittadini a sei città polacche coinvolte nel caso LGBT-free. “I valori e i diritti fondamentali dell’UE devono essere rispettati dagli stati membri e dalle autorità pubbliche. Questo è il motivo per cui sei richieste di gemellaggio tra città che coinvolgono le autorità polacche che hanno adottato ‘zone libere da LGBT’ o risoluzioni dei ‘diritti della famiglia’ sono state respinte”, ha twittato il 28 luglio la commissaria europea all’uguaglianza Dalli. Le ha fatto eco Věra Jourová, vicepresidentessa della Commissione europea per i valori e la trasparenza, evidenziando come l’UE “non può finanziare progetti che violano i valori fondamentali”. Il programma Europa per i cittadini mira a sviluppare il dibattito e la partecipazione civile alle politiche dell’UE, attraverso la condivisione di proposte comuni.

Il Parlamento europeo ha inoltre adottato una risoluzione sullo stato di diritto in Polonia, frutto di un monitoraggio continuo a seguito dall’attivazione dell’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea. L’organo legislativo ha definito la situazione “estremamente preoccupante” e ha chiesto l’avvio della procedura di infrazione per incitamento all’odio, discriminazione e intolleranza nei confronti delle minoranze e di altri gruppi vulnerabili.

Immediata la reazione del governo polacco che ha accusato l’UE di fare propaganda e ha minacciato di ricorrere alla Corte di giustizia dell’Unione. Per compensare il danno subito dalla città di Tuchów, esclusa dai finanziamenti, l’esecutivo erogherà all’amministrazione locale 250mila złoty (circa 55mila euro), tre volte la somma prevista dal programma europeo. “Stiamo sostenendo un comune che ha un’agenda a favore della famiglia, combatte l’ideologia LGBT e del gender imposta dalla Commissione europea”, ha dichiarato il ministro della Giustizia Ziobro,parlando di persecuzione e vendetta ideologica dell’UE.

Gli attivisti e le attiviste continuano però a segnalare una crescente violenza verbale e fisica, da parte dei media e della politica. Episodio chiave è stato il Pride di Białystok del 2019, quando i manifestanti sono stati circondati e attaccati da estremisti di destra e ultraconservatori con pietre e petardi, causando decine di feriti. La scorsa estate, l’attivista Margot Szustowicz è stata sottoposta a due mesi di carcere preventivo per aver assalito un furgone che esibiva scritte omofobe. Un migliaio di persone hanno manifestato per chiederne il rilascio ma la polizia, accusata di violenza e abuso di potere, ha eseguito una cinquantina di fermi. L’organizzazione ILGA-Europe afferma che la Polonia è il paese con la situazione peggiore nell’UE in termini di diritti LGBT, tenendo conto anche del “clima sociale”.

Varsavia e Bruxelles, uno scontro continuo

Dal 2015, la Polonia è guidata dal partito conservatore PiS e, come ha evidenziato il quotidiano Gazeta Wyborcza, sarebbe in atto “una guerra culturale conservatrice”. Se 5 anni fa i migranti e il terrorismo islamico erano il capro espiatorio sul quale facevano leva il governo, oggi i nemici sono i movimenti LGBT. Il leader Kaczyński ha puntato il dito contro una “minaccia esterna che sta cercando di insidiare l’identità, le tradizioni e la cultura polacca”.

Se il presidente Duda ha definito i diritti LGBT “un’ideologia più distruttiva del comunismo”, l’arcivescovo di Cracovia ha parlato di “peste arcobaleno”. Anche i media legati al governo hanno partecipato a questa campagna di disinformazione, affermando che l’educazione sessuale nelle scuole favorirebbe la pedofilia.

La ‘questione arcobaleno’ è diventata il banco di prova per il PiS, che sta facendo della Polonia il fulcro del conservatorismo e dell’intolleranza in Europa. Il governo polacco respinge ogni accusa e mostra ostilità anche verso la procedura d’infrazione aperta dall’UE per il tentativo di controllo della magistratura da parte dell’esecutivo.

Con il blocco dei fondi l’Unione europea ha comunque lanciato un segnale importante: niente finanziamenti senza diritti civili e sociali, anche se questo rischia di penalizzare i polacchi e generare sentimenti anti-europei. Alla luce del rimpasto di governo di qualche settimana fa e della minaccia di veto su Recovery fund e budget UE, è facile immaginare che l’esecutivo voglia inasprire ulteriormente i rapporti con l’Europa, tirando ancora una volta dritto per la sua strada.

Foto: pixabay.com

Chi è Tommaso Di Felice

Nato a Roma nel 1987, si è laureato in Relazioni Internazionali presso l’Università degli Studi di Roma "La Sapienza". Appassionato di storia e politica, dopo un Erasmus a Varsavia è rimasto in Polonia per diversi anni. Ora è tornato a Roma, ma lo sguardo rimane sempre rivolto a Est.

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