Il Kosovo è terra contesa e soprattutto sono contesi il suo passato e il suo patrimonio culturale. Mentre la retorica, poco accademica e molto propagandistica, sulla “guerra di religione” fra ortodossi serbi e musulmani albanesi è sempre diffusa, pochi studi hanno posto l’accento sui periodi di pacifica convivenza fra la comunità albanese e quella serba. Fra questi spicca un lavoro di Nemanja Dević, ricercatore dell’Istituto di Storia Moderna di Belgrado, che ha ricostruito la vicenda dei guardiani albanesi che fra il 1600 e il 1991 proteggevano i monasteri, le chiese e il clero ortodossi in varie regioni del Kosovo.
I monasteri del Kosovo
Il Kosovo è costellato da una serie di antichi monasteri, molti dei quali risalenti al XIII e XIV secolo, che rappresentano un importante patrimonio culturale dell’area. I siti più noti, abitati dal clero serbo-ortodosso, sono localizzati a Pejë/Peć, Deçan/Dečane, Gračanica/Graçanicë e Prizren, ma ve ne sono molti altri sparsi in tutto il territorio del paese.
Questi monasteri hanno vissuto gli eventi e gli stravolgimenti della storia di questa regione. L’Impero Ottomano, che ha dominato l’area per secoli, da metà del ‘400 all’inizio del ‘900, era sostanzialmente tollerante nei confronti delle minoranze religiose, favorendo, soprattutto nella prima fase della propria presenza, una buona convivenza del mosaico etnico-religioso di tutti i territori che controllava. In Kosovo, tale mosaico comprendeva musulmani, divenuti maggioranza, cattolici ed ortodossi, con i primi due in prevalenza albanesi e i terzi, gli ortodossi, in maggioranza serbi.
Uno dei risultati più interessanti e meno conosciuti di questo contesto fu l’istituzione dei guardiani albanesi, chiamati vojvoda in lingua serba, che proteggevano notte e giorno le proprietà della Chiesa Ortodossa.
Un compito importante
La besa è uno dei più importanti principi del Kanun, il codice di diritto consuetudinario albanese, e significa letteralmente “mantenere la parola“. Si tratta di una parola d’onore con cui impegnarsi nella maniera più solenne nei confronti di qualcuno.
A partire dal periodo della dominazione ottomana, alcuni fra i membri delle più importanti famiglie albanesi del Kosovo si impegnarono proprio attraverso il principio della besa a proteggere le proprietà della Chiesa Ortodossa dagli abusi di signori locali o dagli attacchi dei banditi, creando uno stretto legame fra questi guardiani, albanesi e prevalentemente musulmani, e il clero ortodosso, di identità serba.
L’esistenza di queste particolari figure è confermata anche negli studi del kosovaro Bedri Muhadri, che sottolinea come nella regione della Rugova i guardiani fossero scelti fra le personalità più anziane delle famiglie albanesi e in seguito presentati al patriarca ortodosso di Peć. In cambio, i prescelti ricevevano uno stipendio e una certa considerazione sociale.
Non solo rose e fiori
Questi guardiani creavano così dei particolari legami con i monaci e le comunità ortodosse dell’area in cui vivevano. Secondo l’accademico britannico Noel Malcolm, il periodo più fiorente di questa tradizione durò fino al 1864, quando l’Impero Ottomano cominciò a inasprire il proprio atteggiamento nei confronti degli ortodossi, generando attriti fra le due comunità. La pratica dei vojvoda continuò anche nel Novecento, quando il controllo sul Kosovo passò da Istanbul a Belgrado, con alti e bassi legati ai periodi di tensione tra serbi e albanesi: secondo Dević, durante i periodi in cui i rapporti erano maggiormente tesi, i vojvoda albanesi erano mal visti dalla propria comunità per il servizio reso al clero serbo-ortodosso.
Questa situazione trova conferma in una lettera del 1942, in cui la vedova di Shaban Azem, vojvoda di Deçan/Dečane, caduta in povertà, da un lato affermava di essere stata aiutata economicamente dal patriarca ortodosso German, dall’altro raccontava come suo marito fosse stato aggredito l’anno precedente, perché reo di aver protetto il monastero. Il deterioramento dei rapporti fra albanesi e serbi nel Kosovo sarebbe culminato poi, mezzo secolo dopo, nel conflitto degli anni Novanta del Novecento, che ha portato alla rapida decadenza dell’istituto dei vojvoda. Un conflitto che non fu di natura religiosa, ma che inevitabilmente coinvolse e inasprì i rapporti tra le fedi.
E così nel 1991, a Deçan/Dečane, alcuni rappresentanti della famiglia Demukaj, protettrice delle proprietà ortodosse per decenni, hanno formalmente rinunciato all’incarico, chiudendo una tradizione lunga quattro secoli.
Una tradizione che continua?
Nonostante le difficoltà e le tensioni dovute al recente conflitto, la Chiesa Ortodossa Serba è oggi ampiamente tutelata in diverse forme dalla legislazione del Kosovo. Non ci sono più i vojvoda a monitorare le proprietà ortodosse, ma la Kosovo Police, composta in maggioranza da albanesi ma anche da serbi, contribuendo nel piccolo a dar vita a nuovi legami e a una nuova convivenza.
In questo senso va anche il crescente dialogo tra il clero ortodosso e le istituzioni kosovare, con esempi di proficua collaborazione istituzionale volta a garantire la libertà religiosa di tutte le comunità. Per quanto la figura del vojvoda appartenga al passato, la vita kosovara di oggi è ben lontana dagli slogan propagandistici delle “chiese assediate” e dalle forme di nazionalismo estremo cui è solitamente associata.
Foto: profilo Twitter di Sava Janjic