Ivanov

BULGARIA: Intervista a Hristo Ivanov, leader delle proteste

Da oltre due mesi, la Bulgaria è attraversata da massicce manifestazioni di piazza contro il governo guidato da Bojko Borisov e dal suo partito Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria (GERB). Le contestazioni sono iniziate a luglio dopo che Hristo Ivanov ha inscenato una particolare forma di protesta per denunciare la corruzione della classe politica bulgara. Con una piccola imbarcazione ha raggiunto una spiaggia pubblica a Rosenets Park, sulla costa del Mar Nero, di fatto privatizzata da Ahmed Dogan, uno dei politici più influenti del paese.

Ivanov è il leader del partito Da, Bulgaria (Sì, Bulgaria) e uno degli esponenti dell’opposizione più in vista. Tra il 2014 e il 2015 ha ricoperto la carica di ministro della Giustizia nel governo Borisov. Decise di dimettersi dall’incarico a causa delle differenti vedute sulla riforma della giustizia.

Lo abbiamo intervistato per provare a capire qualcosa in più sulle proteste e il ruolo dell’Unione Europea.

A inizio luglio lei ha messo in atto un piccolo atto dimostrativo che ha poi scatenato una significativa ondata di proteste. Com’è nata l’idea e cosa voleva denunciare con questa sua azione?

Sono diversi anni ormai che proviamo a innescare una qualche reazione pubblica contro la corruzione in Bulgaria. Spesso la corruzione è considerata come qualcosa di scontato e astratto. Con la mia azione ho provato a dimostrare come sia in realtà qualcosa di specifico e reale. In Bulgaria, la corruzione non è soltanto accettata a livello morale, ma fa parte della cultura politica, è qualcosa di sistemico. La dimostrazione messa in atto a Rosenets Park è nata proprio dall’idea di smascherare i meccanismi politici della corruzione, spesso sostenuta attivamente dalle istituzioni. La classe politica tende a dare all’esterno l’impressione di voler imitare i normali processi democratici, ma internamente al paese ha capito che può ottenere fondi e usarli per accapparrarsi ulteriore potere.

La decisione di andare in quella specifica spiaggia è legata alla biografia di Ahmed Dogan (ex leader del Movimento per i Diritti e le Libertà, DPS, partito della minoranza turca, NdR). Dogan era rappresentante del DPS, un partito trasformista che è stato al governo sia con la sinistra che con la destra. Insieme a Delyan Peevski (membro del DPS e proprietario di quasi tutti i giornali e di alcune tv del paese, NdR) hanno creato un diffuso sistema di potere e corruzione. Le coste del Mar Nero non sono controllate e lì si verificano importanti traffici di petrolio con la Russia e l’Iran. Proprio lì Dogan ha costruito la sua casa con tanto di strade e porto per gli yacht, privatizzando di fatto la spiaggia. Il tutto illegalmente.

Non è la prima volta che la Bulgaria è attraversata da proteste. Già nel 2013 si erano registrare importanti manifestazioni. Quali sono le differenze e gli elementi di novità rispetto ad allora?

Nel 2013 ci sono state due ondate di proteste. Nel corso della prima, tra gennaio e marzo, le manifestazioni erano legate più a questioni economiche: si manifestava contro la povertà e le misure di austerità adottate dal governo di Borisov, che fu poi costretto a dimettersi. La seconda ondata era diretta contro la nomina di Delyan Peevski a capo del DANS (Agenzia Statale per la Sicurezza Nazionale). Formalmente, Borisov appoggiò queste proteste mentre era all’opposizione e questo gli permise di vincere le elezioni del 2014. In realtà mentre di giorno sosteneva le proteste, la sera fumava le sigarette in compagnia di Peevski.

Adesso la gente ha capito che la situazione globale sta cambiando e le proteste riguardano anche questioni economiche. Molti bulgari che erano andati all’estero, in Italia o in Germania, hanno perso il lavoro a causa della crisi e stanno tornando a casa. I bulgari percepiscono inoltre di vivere in un regime autoritario, molto corrotto, inefficiente. I gruppi di potere tendono ad assorbire qualsiasi attività economica cercando di controllare tutto quello che si muove.

Hai nominato Delyan Peevski, proprietario di molti giornali e tv. I media stanno dando copertura alle proteste o le ignorano?

C’è una certa copertura da parte delle televisioni filo-russe nel paese, ma nelle ultime settimane un po’ tutte le tv hanno cominciato a parlare delle proteste. Non ne parlano sempre in maniera obiettiva, ma adesso rientrano tra le notizie. Tra i media controllati da Peevski c’è una forte campagna di propaganda che prova a spiegare come la mafia stia pagando i protestanti oppure come questi siano manovrati da agenti stranieri, russi o americani. Ogni volta che le elezioni si avvicinano, i gruppi di potere alle loro spalle finanziano la pubblicazione e la diffusione di centinaia di migliaia di libri contro i loro rivali, spendendo un sacco di soldi pubblici. Soldi che sono anche vostri, che vengono anche da fondi europei e che vengono usati per le loro battaglie.

Nelle ultime settimane la tensione è aumentata, come dimostrato dagli scontri tra manifestanti e polizia durante la manifestazione del 2 settembre. Secondo alcuni, le violenze sono state causate da infiltrazioni di frange estreme, come i gruppi ultras. Pensa che questi episodi rappresentino un segnale di radicalizzazione delle proteste?

Durante le proteste del 2 settembre il comportamento della polizia non è stato particolarmente efficiente nel prevenire scontri e nel rispondere alle provocazioni. Solitamente questi gruppi sono utilizzati dal governo per incutere timore tra i manifestanti, ma il governo ha capito che ci sono troppi rischi nel sostenere queste frange. C’è una mancanza di coordinamento tra i partiti e le organizzazioni tradizionali e le manifestazioni sono organizzate da gruppi di cittadini estranei ai partiti. Ad oggi il rischio di una escalation rimane però piuttosto basso, anche se è possibile che una rabbia autentica da parte dei cittadini possa crescere con l’andare del tempo.

L’UE non sembra dare molto peso alle proteste dimenticando quello che accade dentro i propri confini. Cosa ne pensa dell’atteggiamento adottato finora dall’UE?

Le forze politiche del paese sono tendenzialmente filo-atlantiche e le proteste non mettono in discussione questo assetto. Per rendere più chiara la figura di Borisov potrei fare riferimento a Berlusconi: non era particolarmente dottrinario e, nonostante i numerosi scandali e i problemi con la giustizia, andava bene al Partito Popolare Europeo (PPE). Con Borisov è lo stesso. Lui ha un forte legame con Angela Merkel e ideologicamente è un oppositore di Viktor Orban che non nasconde molto la volontà di creare una democrazia illiberale. In fondo, Borisov non crea problemi in Europa. La Bulgaria otterrà circa 7 miliardi di fondi europei (nell’ambito del Recovery Fund, NdR) una somma tutto sommato sufficiente per mantenere la stabilità. E questa è la spiegazione del perché l’Europa non è così interessata alle proteste contro Borisov. I manifestanti non invocano un maggior sostegno economico da parte dell’Europa, non vogliono più soldi, ma supporto nel miglioramento del sistema giudiziario e nella lotta alla corruzione. Le istituzioni europee chiudono gli occhi davanti al mancato rispetto dello stato di diritto e questo è un fallimento.

Crede che alla fine Borisov sarà costretto a dimettersi?

Borisov è ormai finito. Le prossime elezioni si svolgeranno a marzo 2021 e non credo verranno anticipate. Queste elezioni potrebbero portare però a un significativo cambiamento.

Le opposizioni sono pronte a raccogliere questa sfida e governare una situazione così complessa?

chiaramente no. Questo blocco di potere ormai decennale ha creato un sistema nepotista abituato a governare. La gente vuole facce nuove, ma le facce nuove non hanno molta esperienza. Ovviamente questo è un problema. Nonostante ciò, sono convinto che il panorama politico si trasformerà in maniera radicale. Non c’è una risposta certa su chi formerà il prossimo governo, ma i cambiamenti saranno notevoli. Non sarà una cosa semplice né equilibrata, ma è l’unico modo per uscire da un periodo autoritario. Sarà un processo molto complicato.

Foto: Da, Bulgaria

Chi è Marco Siragusa

Nato a Palermo nel 1989, ha svolto un dottorato all'Università di Napoli "L'Orientale" con un progetto sulla transizione serba dalla fine della Jugoslavia socialista al processo di adesione all'UE.

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