di Matteo Zola
Anders Fogh Rasmussen si è recato a Sofia per una visita di basso profilo, almeno nelle intenzioni. Il segretario generale della Nato è stato però accolto in Bulgaria dal clamore dei media e dal gotha del think tank bulgaro. A riceverlo c’erano tutti, con gli occhi rossi e il cappello in mano, commossi per l’inatteso omaggio: il ministro della Difesa, Anio Anguelov, e il suo collega agli Affari Esteri, Nikolaï Mladenov, il Primo Ministro Boïko Borissov il Presidente della Repubblica Guéorgui Parvanov. L’incontro aveva però un motivo ben preciso, e Rasmussen non ne ha fatto segreto comunicando -per la gioia dei giornali che da settimane avanzavano ogni sorta di ipotesi- che lo scopo della sua missione in Bulgaria era sviluppare con Sofia una “nuova concezione strategica” dell’Alleanza Atlantica.
Ecco la vera ragione della visita di Rasmussen: coinvolgere la Bulgaria nel grande piano di difesa antimissile destinato a proteggere 900 milioni di europei da eventuali attacchi iraniani o nordcoreani. Certo, dietro a “Iran” e “Nord Corea” bisogna in realtà leggere “Russia” poiché le batterie antimissile rappresentano più una linea di contenimento per l’espansionismo russo, che una protezione dall’innocua repubblica degli Ayatollah. Non a caso il segretario generale Rasmussen ha, una volta di più, sottolineato come non s’intenda in alcun modo rivolgersi contro la Russia.
Al piano di difesa atlantico hanno già aderito Repubblica Ceca, Polonia e Romania. Con l’adesione della Bulgaria, la Nato potrebbe aumentare la propria presenza nei Balcani mantenendo la stabilità nel Kosovo e rafforzandosi sul Mar Nero. Con il significativo risultato di allontanare decisamente Sofia dal Cremlino.
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