Corte Costituzionale

ARMENIA: Polemiche per le dimissioni forzate alla Corte Costituzionale

Il 26 giugno sono ufficialmente entrate in vigore le modifiche alla costituzione armena sulla composizione della Corte Costituzionale approvate dal parlamento quattro giorni prima, modifiche che prevedono le dimissioni forzate per i tre giudici della Corte in carica da più di 12 anni.

Per il governo, la decisione si è resa necessaria a causa dei legami della Corte Costituzionale con il vecchio esecutivo, rovesciato nella rivoluzione pacifica del 2018, legami che impedirebbero ai giudici di prendere decisioni imparziali. L’opposizione, però, non è d’accordo, e accusa il primo ministro Nikol Pashinyan di voler nominare giudici a lui favorevoli. Sempre secondo l’opposizione, il parlamento non sarebbe autorizzato a emendare la costituzione.

Le reazioni indignate dei giudici e dell’opposizione

Si è unito alle accuse contro Pashinyan anche il presidente della Corte Costituzionale Hrayr Tovmasyan. Vicino agli ex presidenti Serzh Sargsyan e Robert Kocharyan, Tovmasyan era già stato accusato di appropriazione indebita lo scorso dicembre, quando aveva definito le accuse come una persecuzione politica.

Una dei giudici, Alvina Gyulumyan, vicepresidente della Corte Costituzionale, vuole fare appello alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,  mentre alcuni attivisti per i diritti umani hanno condannato la nuova legge come un mezzo per Pashinyan per prendere il controllo della Corte.

La Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa ha rilasciato un’opinione in cui approva le modifiche alla costituzione, ma afferma che sarebbe stato più opportuno sostituire i giudici in maniera graduale, per non mettere a rischio l’indipendenza della Corte.

Lotta anticorruzione o persecuzione politica?

In effetti, se da un lato Pashinyan sembrerebbe avere come obiettivo combattere la corruzione negli apparati governativi armeni, dall’altro è innegabile che nel mentre stia cercando di accentrare sempre più potere nelle sue mani.

Solo un paio di settimane fa Gagik Tsarukyan, oligarca e leader del partito di opposizione Armenia Prospera, si è visto eliminare l’immunità dal parlamento, diventando così perseguibile per le accuse di aver comprato voti e per corruzione. Ma il tribunale ha respinto la richiesta di arresto, anche se il Procuratore generale ha fatto appello alla decisione. In seguito alla perquisizione dell’appartamento di Tsarukyan, sono state temporaneamente arrestate 90 persone che protestavano di fronte alla sede dei servizi di sicurezza, chiedendo a gran voce le dimissioni di Pashinyan.

Anche l’ex presidente Robert Kocharyan è sotto processo, con l’accusa di aver rovesciato l’ordine costituzionale quando ha represso le proteste dell’opposizione nel 2008. Di recente è stato rilasciato dietro il pagamento di una cauzione da record: 4,2 milioni di dollari.

Infine, a giugno i capi di servizi di sicurezza, polizia e forze armate sono stati tutti rimossi, ufficialmente perché il capo delle forze armate Artak Davtyan avrebbe celebrato il matrimonio del figlio infrangendo, con il benestare degli altri due capi, le restrizioni anti-coronavirus. Coronavirus che rappresenta un grande problema al momento: l’Armenia è il Paese più colpito dal Covid-19 nel Caucaso meridionale, con oltre 24.000 contagi e 426 morti. Lo stato di emergenza è stato prolungato fino al 13 luglio, e le chiusure rischiano di mettere in ginocchio un’economia largamente fondata sul lavoro nero.

Pashinyan ha citato proprio l’emergenza coronavirus come motivo per declinare l’invito di Putin alle celebrazioni posticipate del 75° anniversario della vittoria nella Seconda guerra mondiale il 24 giugno, ma è probabile che sia stata la necessità di tenere sotto controllo la situazione interna, piena di tensioni a causa della riforma della Corte Costituzionale, a farlo desistere dal lasciare il Paese.

Foto: Wikicommons

Chi è Eleonora Febbe

Laureata in Russian Studies all'University College London e in Interdiscilplinary Research and Studies on Eastern Europe all'Università di Bologna. Si interessa principalmente di democratizzazione e nazionalismo nel Caucaso e in Asia Centrale. Attualmente vive a Tbilisi.

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