Il Centro congressi e Sheraton Hotel di Harare, Zimbabwe
Il Centro congressi e Sheraton Hotel di Harare, Zimbabwe

L’architettura jugoslava in Africa

Quando Tito, Nehru e Nasser si ritrovarono a Bandung nel 1955 per fondare il movimenti dei paesi non allineati, la Jugoslavia ottenne non solo una rete di sostegno politico, ma anche nuove opportunità economiche. Uno dei punti di forza dell’export jugoslavo verso i paesi della decolonizzazione fu l’architettura. In Africa e in Medio Oriente, per oltre trent’anni, gli architetti jugoslavi costruirono palazzi, centri congressi, aeroporti, ministeri, università, uffici postali, hotel e quartieri residenziali. L’edizione in lingua serba della BBC ha dedicato all’architettura jugoslava in Africa un reportage.

Il modernismo architettonico jugoslavo durante la decolonizzazione

Dagli anni ’50 agli anni ’80, numerosi edifici modernisti videro la luce nelle nuove capitali d’Africa e Asia, come ricorda lo storico dell’architettura Lukas Stanek, autore del libro Architecture in Global Socialism (Princeton, 2020). “L’Unione sovietica si focalizzava più sui grandi progetti infrastrutturali: dighe, argini, porti; la Jugoslavia era più orientata verso i progetti urbanistici”.

Già alla fine degli anni ’50, società di costruzioni jugoslave, polacche e sovietiche iniziavano a conquistare i mercati africani. Il conglomerato jugoslavo Energoprojekt, e più tardi singoli architetti jugoslavi, progettarono il Parlamento della Nigeria, la Fiera di Lagos (Zoran Bojović, 1977), il Babylon Hotel (Edvard Ravnikar, 1982) e i quartieri residenziali di Baghdad, l’aeroporto di Entebbe (Aleksandar Keković, 1973), parte del complesso universitario KNUST in Ghana, e vari altri edifici.

Energoprojekt, Lagos Trade Fair, Lagos, Nigeria, 1976.
Energoprojekt, Lagos Trade Fair, Lagos, Nigeria, 1976.
Babylon Hotel, Baghdad (ph: Amin Alsaden)

Il Palazzo delle Conferenze di Libreville, in Gabon

Nell’ex colonia francese del Gabon, l’appalto vinto da Energoprojekt per la costruzione del Palazzo delle Conferenze di Libreville – considerato uno degli edifici di maggior lusso in tutta l’Africa del tempo – assunse il significato politico di una definitiva emancipazione dall’ex potenza coloniale e dai legami della Françafrique, come ricorda per la BBC l’architetto belgradese Mario Jobst, autore della stazione di servizio Dejtonka e del YU Business Center a Novi Beograd, che lavorò agli interni del palazzo.

“African sun” by Miodrag Živković, 1977 (source: Spomenik Database)

Jobst, che aveva iniziato a lavorare per Energoprojekt nel 1972, era ancora un giovane architetto quando si trovò a lavorare sul sito del futuro palazzo da 12.000 metri quadri che avrebbe dovuto ospitare la 14esima sessione dell’Organizzazione per l’Unità Africana. “Fu un lavoro eroico, e molto costoso”. Tutti i materiali utilizzati erano di produzione jugoslava, incluso il marmo di Brazza, di color bruno scuro, utilizzato per i pavimenti.

Lo scultore Miodrag Živković, già autore dello spomenik di Tjentište dedicato alla battaglia della Sutjeska, e del monumento agli studenti martiri di Šumarice, fu incaricato di realizzare una scultura decorativa per una delle grandi sale del palazzo. “Progettai una scultura in clearite, Sole africano. Quel blocco di 7-8 metri ed io prendemmo un aereo e volammo insieme in Africa,” ricorda lo scultore, oggi 92enne.

Il Palazzo delle conferenze fu completato nel giugno 1976, con sei mesi d’anticipo. E’ stato demolito nel 2014, per far posto a un nuovo palazzo presidenziale.

Il "Palais des conferences" di Libreville, Gabon
Il “Palais des conferences” di Libreville, Gabon

 

Il Centro congressi e Hotel Sheraton di Zimbabwe

Il colpo finale Energoprojekt lo segnò in Zimbabwe, con il più grande progetto nella storia della società. Erano passati solo pochi mesi dalla morte di Tito, quando alla coppia di architetti belgradesi Dragoljub e Ljiljana Bakić fu affidata la realizzazione del Centro congressi e Sheraton Hotel di Harare, nell’ex Rhodesia del sud da poco indipendente con alla guida Robert Mugabe.

Bakić atterrò ad Harare nell’agosto 1980, con un modellino in scala del complesso. La competizione per costruire le nuove architettura era forte, con le società inglesi già fortemente radicate nell’ex colonia. La morte dell’alto papavero jugoslavo Stevan Doronjski offrì l’occasione: alla firma del libro delle condoglianze presso l’ambasciata, Bakić prese da parte il ministro degli esteri dello Zimbabwe e gli mostrò il modello. Il ministro gli disse di presentarsi presso l’ufficio del primo ministro. L’indomani Mugabe, che sognava di ospitare un vertice del movimento dei non allineati, gli disse che voleva il palazzo, “ma due volte più grande“. Gli furono dati 10 giorni per revisionare il progetto, per una sala congressi da 5.000 posti.

“Dissi a Ljiljana di venire immediatamente in Zimbabwe, e lavorammo sul progetto in hotel, sui tavoli della colazione.” Nello stesso hotel soggiornava in quei giorni anche Slobodan Milošević, allora direttore generale di Beobanka in visita alla nuova filiale. “Passava in serata per vedere come stessimo andando avanti col progetto, di ritorno dai safari”. Il progetto fu accettato, e il sogno di Mugabe si realizzò: nel 1986 Harare ospitò l’ottavo vertice dei paesi non allineati, allo Sheraton.

Il Centro congressi e Sheraton Hotel di Harare, Zimbabwe
Il Centro congressi e Sheraton Hotel di Harare, Zimbabwe (ph: Foto: BBC / archivio privato Dragoljub Bakić )

Chi è Andrea Zambelli

Andrea Zambelli è uno pseudonimo collettivo usato da vari membri della redazione di East Journal.

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