Auschwitz

BALCANI: Riaprirà ad Auschwitz il padiglione jugoslavo

Dopo 14 anni di negoziati, è stato finalmente raggiunto un accordo tra Bosnia Erzegovina, Croazia, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia e Slovenia per la ristrutturazione del blocco 17 di Auschwitz-Birkenau, noto come padiglione jugoslavo. Lo scorso 25 gennaio si è tenuta a Parigi la firma dell’accordo, alla presenza dei ministri della cultura dei rispettivi paesi e della Direttrice Generale UNESCO Audrey Azoulay, che ha agito da depositario. Secondo i progetti, il padiglione ospiterà un’esibizione permanente curata dall’architetto Daniel Libeskind sulla storia dell’Olocausto in Jugoslavia, dove furono uccisi circa 66mila ebrei.

La storia del blocco 17

Secondo le stime più accurate, il blocco 17 vide transitare per le sue baracche circa 20mila jugoslavi tra il 1941, data della sua costruzione realizzata dai prigionieri già presenti nel campo di sterminio, e il 27 gennaio 1945, data della liberazione di Auschwitz-Birkenau ad opera delle truppe sovietiche. Di questi 20mila, meno di 100 riuscirono a sopravvivere. La grande maggioranza degli jugoslavi che furono deportati in Polonia erano ebrei originari della regione di Bačka, nella Vojvodina serba, che finì sotto occupazione ungherese durante il conflitto mondiale, e persone di etnia rom, oltre ad antifascisti e partigiani comunisti.

Il padiglione jugoslavo fu aperto nel blocco 17 nel 1963 su iniziativa dell’associazione jugoslava veterani, e mostrava numerose immagini della resistenza partigiana e degli orrori subiti dagli internati. Sebbene la quasi totalità degli jugoslavi ad Auschwitz-Birkenau erano stati deportati in quanto ebrei o perché appartenenti a minoranze etniche, la narrativa al centro della mostra del 1963, anche dopo il suo rinnovamento nel 1988, metteva l’accento sull’identità antifascista, partigiana e comunista dei prigionieri, dando vita ad una versione della memoria che non rispecchiava la realtà e che minimizzava, fino addirittura a negare il riconoscimento della sofferenza ebraica e di altri gruppi etnici.

La dissoluzione violenta della Jugoslavia durante gli anni ‘90 ha per quanto possibile ulteriormente oscurato il valore della memoria dell’Olocausto, che è stato spesso usato dalle parti belligeranti per descrivere le brutalità commesse delle altre fazioni a danno della propria. Il concetto di Olocausto acquisì in questo modo un valore politico, che nulla aveva a che fare con la memoria dell’Olocausto subito da ebrei e rom jugoslavi, nuovamente messo ai margini della memoria collettiva.

Su spinta della Croazia, e viste le diverse interpretazioni della storia a seconda dei contemporanei fini politici, il padiglione fu chiuso nel 2009 dal museo di Auschwitz-Birkenau, in quanto la mostra era ormai diventata obsoleta, rappresentando di fatto un paese che aveva cessato di esistere da quasi un decennio, e i materiali esposti furono affidati al Museo della Storia Jugoslava di Belgrado.

I negoziati

I negoziati per una nuova esibizione congiunta, sostenuti dal punto di vista diplomatico e finanziario dall’UNESCO, iniziarono nel 2010, quando venne dato vita ad un comitato con rappresentanti governativi, esperti storici e associazioni culturali. Tuttavia, nel 2014 la cooperazione tra i paesi subì uno stallo per disaccordi sulle modalità di finanziamento e sui contenuti della mostra. Alla base dello stallo va sicuramente messa la diversa interpretazione della storia all’interno delle repubbliche eredi della Jugoslavia e la mancanza di una memoria comune della seconda guerra mondiale, con le atrocità commesse negli anni ’90 che hanno creato una concezione di Olocausto diversa da stato in stato: in Serbia il termine Olocausto viene usato per descrivere le violenze commesse dal gruppo filo-nazista croato degli ustascia ai danni di serbi; mentre in Croazia e Bosnia Erzegovina viene usato per ricordare le atrocità commesse dai nazionalisti serbi dei cetnici.

Dopo molti anni di attesa, i governi delle sei repubbliche sono quindi riusciti a trovare un accordo per la ristrutturazione del blocco 17 e il finanziamento di una mostra comune, curata da Daniel Libeskind, architetto famoso per la sua abilità nell’evocare la memoria tramite l’architettura. Questa avrà quattro temi principali, quali tempo e spazio; vittime; responsabili e collaborazionisti; e resistenza partigiana.

La firma dell’accordo è stata celebrata con grande entusiasmo dalla Direttrice Generale Azoulay con le seguenti parole: ‘Oggi, quattordici anni di negoziati diplomatici stanno finalmente dando i loro frutti. Questo storico accordo colma un vuoto, un’assenza di memoria proprio nel luogo in cui si sono consumati questi orrori. Dimostra il nostro impegno comune a imparare dal passato e a curare le ferite della storia, che trascende i confini e le generazioni. L’UNESCO, l’organizzazione delle Nazioni Unite responsabile dell’insegnamento dell’Olocausto e del genocidio, è orgogliosa di diventare depositaria di questo accordo, in quanto custode della verità, vigile contro l’erosione della realtà storica’.

Foto: Wikimedia Commons

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