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UCRAINA: Intervista al nemico, e il giornalismo fa polemica

In Ucraina infuria la polemica riguardo alle video-interviste condotte dal giornalista Dmytro Gordon con due figure estremamente contraddittorie: Igor Girkin, detto Strelkov, comandante delle forze di aggressione inviate dalla Russia nel 2014 nel Donbas, per sottrarre quei territori all’Ucraina, e Natalija Poklonskaja, ex procuratore distrettuale ucraino, che ha cambiato bandiera dopo l’occupazione russa della Crimea nel 2014 ed è divenuta procuratore generale della Crimea (ora deputata alla Duma russa).

Le interviste incriminate

Il giornalista ha dichiarato di aver condotto le interviste – riguardanti i crimini commessi nei territori ucraini dai due intervistati – con il consenso dell’SBU (i servizi segreti ucraini), indicando che potranno essere materia probatoria per le inchieste del Tribunale internazionale dell’Aja. Nonostante ciò si è scatenata una bufera mediatica, con accuse al giornalista di dare voce a figure responsabili di gravi reati.

Numerosi dimostranti si sono radunati per protestare di fronte agli uffici di Gordon a Kiev. Il viceprocuratore ucraino Gyunduz Mamedov ha dichiarato comunque che le interviste potranno essere utilizzate come prova in tribunale e si è dichiarato grato per la testimonianza ricevuta.

In questo momento appare indubbio come il sasso lanciato nello stagno dal giornalista abbia riportato alla ribalta una situazione estremamente dolorosa per l’Ucraina, che per molti era preferibile non risvegliare. La nuova amministrazione aveva posto tra i principali obiettivi il recupero dei territori occupati dalle milizie manovrate da Mosca e ciò aveva rappresentato una valida carta elettorale; la realtà purtroppo si è rivelata molto più difficile da affrontare e i primi toni dolciastri e ottimisti sono stati sostituiti da un imbarazzato silenzio.

Una situazione stagnante

Il problema centrale è rappresentato dagli accordi di Minsk, in cui sono state accettate dall’Ucraina condizioni capestro. La presenza delle potenze occidentali al vertice ha prodotto risultati non dissimili per efficacia da quelli di altri vertici di decenni or sono, di infausta memoria. L’Ucraina vorrebbe sensatamente ripristinare la propria frontiera con la Russia e poi svolgere libere elezioni nel Donbas. Invece la Russia esige che prima si svolgano le elezioni, con le canne dei kalashnikov delle forze occupanti puntate sugli elettori, e poi si permetterà all’Ucraina di ripristinare le proprie frontiere.

Questo è stato quanto si è dovuto firmare a Minsk per strappare un accordo, dando anche il tempo alle truppe occupanti di conquistare il nodo ferroviario di Debaltsevo, necessario per l’invio di rubli e armamenti. Appare evidente l’impossibilità di svolgere libere elezioni, e soprattutto appare incerta la futura collocazione di quanti da anni si sono impadroniti delle province di Donetsk e Luhansk. Secondo l’ex rappresentante speciale statunitense per i negoziati in Ucraina, Kurt Volker, i territori “sono diretti dal comando russo attraverso una catena di comando, comprese le truppe e gli ufficiali regolari e la maggior parte dei soldati sono a contratto”. Nel corso degli anni i vari comandanti militari  e amministratori succedutisi alla teste delle due province sono rimasti vittima a turno di attentati e regolamenti di conti; c’è un profondo rancore tra i leader di Donetsk e Luhansk, come tra cosche concorrenti, e se ora è possibile l’invio di denaro elettronico con l’estero, non è possibile tra le due province confinanti.

C’è anche il problema delle forze di polizia e militari ucraine che, essendo fedeli all’ex presidente Janukovič, nei giorni del colpo di mano degli attivisti venuti da oltre confine, prima non mossero un dito per evitare il disastro, e poi accettarono di servire gli occupanti. Il ripristino della legalità ucraina nei territori non le vedrebbe in una posizione favorevole. Tutto cospira perché nulla cambi nel prossimo futuro, con la cancrena permanente di queste, come di tutte le altre repubbliche fantoccio, instillate nel corpo degli stati che furono parte dell’Unione Sovietica, a fini di perenne controllo e ricatto. Per quanto riguarda la Crimea, un silenzio fatale la avvolge, con la promessa di un’occupazione per l’eternità.

Chi è Giovanni Catelli

Giovanni Catelli, cremonese, è scrittore e poeta, esperto di cultura e geopolitica dell’Europa orientale. Suoi racconti sono apparsi in numerose testate e riviste, tra cui il Corriere della Sera, la Nouvelle Revue Française, Nazione Indiana, L’Indice dei Libri. Ha pubblicato In fondo alla notte, Partenze, Geografie, Lontananze, Treni, Diorama dell'Est, Camus deve morire, Il vizio del vuoto, Parigi e un padre (candidato al Premio Strega 2021). Geografie e Camus deve morire (con prefazione di Paul Auster) sono stati tradotti in varie lingue. Collabora con Panorama e dirige Café Golem, la pagina di cultura di East Journal. Da più di vent'anni segue gli eventi letterari, storici e politici dell'Europa orientale, e viaggia come corrispondente nei paesi dell'antico blocco sovietico.

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