BOSNIA: Attentato all'ambasciata americana a Sarajevo. Si segue la pista islamista

di Giorgio Fruscione

Venerdi 28 ottobre, ore 16 circa, l’ambasciata statunitense di Sarajevo viene attaccata a colpi di kalashnikov da un estremista islamico, terrorizzando per circa un’ora la sede diplomatica, nonchè la popolazione civile.
L’attentatore si chiama Mevlid Jašarević, un ventrienne proveniente da Novi Pazar, capoluogo del Sangiaccato, regione della Serbia la cui popolazione è a maggioranza musulmana.

L’attacco è avvenuto dalla strada di fronte l’ambasciata U.S.A. (la più grande al mondo), situata in un punto nevralgico della capitale bosniaca, quando Jašarević ha estratto da un borsone un fucile automatico iniziando a sparare contro l’edificio e ferendo immediatamente uno dei poliziotti di sorveglianza. Tratto in salvo il ferito, le forze speciali sono entrate in azione e dopo circa un’ora hanno sparato al ginocchio dell’attentatore, che si è accasciato a terra ferito. Per tutto questo tempo, la via principale di Sarajevo – Zmaja od Bosne – è tornata ad essere, nella mente dei sarajevesi che assistevano alla scena, quel viale dei cecchini che con gli spari continui terrorizzò la popolazione per 4 anni.

Mevlid Jašarević, che ha agito solo (nonostante la polizia sia sulle tracce di un complice), appartiene ad un gruppo estremista islamico chiamato „tekfir“, che considera tutti i musulmani non aderenti alla propria ideologia come infedeli, e cinque anni fa, a Vienna, era stato condannato a tre anni di galera per tentata rapina. Quale fossero venerdì le sue intenzioni non è chiaro, ma si sa che il piano era stato premeditato a Novi Pazar.

Quello di Jašarević non è il primo caso di attacco terroristico di matrice fondamentalista islamica, e il riferimento va alla stazione di polizia di Bugojno dove il 27 luglio 2010 fu fatto esplodere un potente ordigno che causò la morte di un poliziotto. Gli attentatori, tuttora sotto processo, sono tutti appartenenti al ramo estremista wahabita. Ed è proprio il movimento wahabita ad essere al centro delle indagini odierne, in quanto lo stesso Jašarević pare ne sia membro, stando alle fonti provenienti dalla polizia di Novi Pazar.

Si sa inoltre che l’attentatore di Sarajevo ha trascorso un soggiorno di diversi mesi nel nord della Bosnia, tra il distretto di Brčko e il comune di Srebrenik, dove risiede la comunità salafita e presso la quale, a inizio anno, era stata organizzata la Medresa invernale (la Medresa è la scuola superiore islamica), alla quale vi hanno partecipato diversi esponenenti del ramo  wahabita, tra cui appunto lo stesso Jašarević. Gli appartenenti bosgnacchi di tale interpretazione dell’Islam, secondo le fonti ufficiali, sarebbero circa 3.000 e considerati i precedenti costituiscono un potenziale esplosivo per la stabilità del paese.

Quello di venerdì scorso non è stato un attacco terroristico soltanto per l’ambasciata americana ma per l’intera Bosnia ed Erzegovina. È infatti unanime la condanna dell’atto da parte delle autorità, e religiose e politiche del paese, dal Reis Cerić (la più alata autorità della comunità islamica di BiH) al membro della presidenza tripartita Željko Komšić. Lo stesso Komšić, dopo aver visitato in ospedale il poliziotto ferito, ha dichiarato che „questa azione non ha niente a che vedere con la popolazione bosniaco erzegovese“. Dello stesso pensiero è anche il compagno di Partito (quello social-democratico) Zlatko Lagumdžija, per il quale sono proprio i personaggi radicali come questi ad aver tentato di distruggere il paese tra il ’92 e il ’95.

Le parole del presidente del SDP non sono per niente esagerate, ma piuttosto un ulteriore condanna per quello di cui la Bosnia erzegovina non ha mai avuto bisogno, l’estremismo religioso.

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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