Lo scorso 17 ottobre, con 60 voti a favore e 25 contrari, il parlamento lettone (Saeima) ha approvato una legge storica che prevede l’attribuzione automatica della cittadinanza lettone ai bambini e alle bambine che nasceranno da genitori aventi lo status di nepilsoņi (“non-cittadini“, ovvero quelle persone di nazionalità non lettone, per la gran parte giunte in Lettonia durante l’epoca sovietica, che non hanno ricevuto la cittadinanza al momento della restaurazione dell’indipendenza del paese dopo il crollo dell’URSS, né hanno portato a compimento un processo di naturalizzazione).
Si tratta di un piccolo passo avanti verso la piena integrazione della società lettone post-sovietica e verso il riconoscimento dei pari diritti per una determinata parte della popolazione – alla quale viene tuttora riservato un trattamento “differenziato” a livello legislativo e sociale.
Cosa cambia con la nuova legge
Come avevamo spiegato in precedenza su East Journal, secondo la legge attualmente in vigore, la cittadinanza lettone non viene attribuita automaticamente ai figli nati da coppie di “non-cittadini”, ma solo su esplicita richiesta di almeno uno dei genitori. I genitori possono comunque introdurre una richiesta affinché al figlio (entro i 15 anni) venga concessa la cittadinanza, oppure quest’ultimo può richiederla da solo entro il compimento della maggiore età.
Non si tratta solo di una formalità, ma di un meccanismo che continua a perpetuare un trattamento non equo e la trasmissione di uno status potenzialmente discriminatorio. Secondo le statistiche, negli ultimi tre anni 131 bambini sarebbero stati registrati alla nascita come “non-cittadini”, e sarebbero oltre 4000 i “non-cittadini” di meno di 15 anni di età residenti nel paese.
Con la nuova legge, a partire dal 1 gennaio 2020 ai bambini e alle bambine che nasceranno da coppie di “non-cittadini” sarà immediatamente garantita la cittadinanza lettone e i diritti ad essa associati (a meno che i genitori non scelgano di attribuire ai figli un’altra nazionalità). Lo status di “non-cittadino” non sarà più automaticamente trasmesso dai genitori ai figli.
La misura è stata accolta in maniera positiva dalla Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, che l’ha descritta come “un progresso significativo nel garantire il diritto di ogni bambino a ricevere la cittadinanza alla nascita e ad essere pienamente integrato nella società lettone”. Mijatović ha però espresso rammarico per il fatto che “il parlamento non abbia esteso la cittadinanza automatica a tutti i “non-cittadini” di meno di 15 anni di età residenti in Lettonia”.
Una decisione non scontata
Il fatto che la nuova legge presenti delle limitazioni non stupisce, dato che la sua approvazione anche nella forma attuale era tutt’altro che scontata. Nel settembre 2017, la Saeima aveva infatti bocciato una proposta di legge identica, presentata su iniziativa dell’allora presidente della repubblica Raimonds Vējonis (ne avevamo scritto qui). Vējonis l’aveva presentata come un gesto simbolico per creare una società lettone più coesa e fondata su dei valori sociali e civili comuni. L’iniziativa va anche letta nel contesto demografico della Lettonia, che dal suo ingresso nell’Unione Europea nel 2004 ha perso quasi un quinto della sua popolazione – a causa di un’emigrazione crescente e di un bassissimo tasso di natalità.
Tuttavia, l’ex-coalizione di governo aveva preferito mantenere il sostegno del proprio elettorato nazionalista piuttosto che appoggiare una legge che avrebbe garantito pari diritti ai cittadini, a prescindere dall’appartenenza etnica. Il successore di Vējonis, il presidente Egils Levits, ha deciso di rilanciare la proposta e il nuovo parlamento, formatosi dopo le elezioni dell’ottobre 2018, si è dimostrato più propenso ad un’apertura.
La decisione di garantire la cittadinanza automatica ai figli dei “non-cittadini” rappresenta quindi un momento di rottura con il passato, sebbene alcuni partiti tra cui Alleanza Nazionale e i Nuovi Conservatori abbiano votato contro la proposta di legge – a dimostrazione del fatto che i diritti dei “non-cittadini” e della minoranza russofona rimangono comunque temi “tabù” per una parte delle forze politiche nel paese.
Secondo i dati più recenti (gennaio 2018) in Lettonia risiedono ancora circa 230.000 “non-cittadini”, privati della cittadinanza lettone nonché di alcuni diritti politici e civili (in primis, il diritto di voto) – due terzi dei quali hanno più di 50 anni. L’esistenza di tale status (in Lettonia ma anche nella vicina Estonia) è stata ripetutamente criticata dalle organizzazioni internazionali (in particolare dal Consiglio d’Europa), e anche dalla Russia – che non ha mai perso l’occasione di denunciare la discriminazione da parte degli stati baltici nei confronti dei “non-cittadini” in maggioranza russofoni.
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Immagine: nra.lv