UNGHERIA: Elezioni 2014, Viktor Orbán verso la rielezione

Il governo Orbán inizia il 2014 delle elezioni politiche, amministrative ed europee senza risparmiarsi. Si comincia il 6 aprile prossimo, con le elezioni politiche in cui gli elettori saranno chiamati a scegliere il nuovo premier che, probabilmente, sarà lo stesso di prima: Viktor Orbán, contestato e discusso leader del partito di centrodestra Fidesz.  Dal 2010, quando è stato eletto con la maggioranza dei due terzi, ad oggi, quando secondo i sondaggi può tranquillamente aspettarsi una nuova vittoria, Viktor Orbán ha senza dubbio fatto molto.

Tra manovre discutibili e discusse,  leggi tra le più estrose e cambi di poltrone, il mandato del leader di centrodestra sta per concludersi ma niente lascia pensare che la sua “era” sia finita. Il popolo ungherese è diviso tra quanti venerano il fondatore della Fidesz, incarnazione per questi di un mito capace di risolvere tutti i problemi della nazione – o almeno dei più brucianti  ed evidenti come il costo delle bollette, tagliato del 20% proprio a pochi mesi dalla tornata – e coloro che invece lo considerano un despota, per altro insopportabile e pieno di sé, impegnato più che altro nel distribuire ricchezza e privilegi ai suoi amici.

Ci sono anche i moderati, è vero, ma trovarli è abbastanza difficile; piuttosto ci sono quanti, pur non entusiasti, si rassegnano ad accontentarsi della più ragionevole delle scelte possibili. L’opposizione esiste, nonostante si sia spesso parlato sui giornali della deriva fascista di questo paese, usando con una certa leggerezza una parola tanto potente. Si potrebbe al contrario dire che la scarsa attività dell’opposizione favorisca il concretizzarsi di quel “regime” assoluto tanto paventato dall’ascesa di Orbán in poi.

Come scrive Aron Coceancig in una approfondita analisi, il governo Orbàn ha saputo portare l’Ungheria fuori dal pantano economico in cui si trovava prima del 2010, restano aperte questioni cruciali come il debito pubblico (tra i più alti del mondo), l’emigrazione e la disoccupazione, ma è opinione condivisa che a Budapest si respiri un’aria migliore rispetto a quattro anni fa. Il taglio del 20% delle bollette energetiche e le misure di incentivo all’impresa privata (la Audi ha da poco aperto un nuovo impianto), oltre che una tassazione atta a favorire il capitale magiaro a scapito di quello straniero, hanno contribuito a registrare la crescita del Pil, sempre in positivo da più di un anno e stimato al 2,1% per il 2014.

Come è stato possibile? Anzitutto attivando accordi economici importanti con Cina e Russia, scrive Coceancig, al punto che Mosca è diventata una sorta di modello di sviluppo (fatto di ordine e stabilità, ma anche di politiche protezioniste) da contrapporre alle politiche liberiste del passato colpevoli, secondo Orbàn, di avere svenduto il paese alle multinazionali straniere. Un accordo sull’energia nucleare ha ulteriormente avvicinato Mosca e Budapest.

Un altro fronte importante è stata la politica finanziaria. Mentre in molti paesi dell’area UE si ricorreva ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale, e alle misure di aggiustamento (privatizzazioni, liberalizzazioni, austerità) da esso richieste, a Budapest si è scelto di fare a meno del Fmi. Quando Orbàn “mandò a casa” gli emissari del Fmi in molti credettero che l’economia ungherese non si sarebbe risollevata da sola. I fatti li hanno smentiti.

Ma Orbàn è anche l’uomo della “svolta nazional-patriottica”, scrive infatti Coceancig: “L’impostazione conservatrice del Fidesz è ben presente nel preambolo della nuova Costituzione che a fronte di uno dei paesi più laici ed atei d’Europa inserisce una chiara discriminante fra chi crede in Dio e chi no, dimostrando l’arroganza e la volontà prevaricatrice di un partito d’impronta fortemente religiosa e conservatrice. Questo ha avuto profonde ripercussioni sui diritti civili”. Polemiche si sono registrate anche per le leggi “bavaglio” all’informazione e per una occupazione dei posti chiave da parte degli uomini di Fidesz.

Insomma, il nazionalismo economico di Orbàn è andato a braccetto con quello politico, e le sue controverse misure (che causarono molti dispiaceri agli ambienti ultra-liberisti europei) hanno consentito al paese una ripresa che è però costata in termini di diritti civili. Gli elettori sembrano intenzionati a premiare Orbàn che, complice un’opposizione assente e senza idee, sembra veleggiare sicuro verso la rielezione. In tempi di crisi – sembra dirci l’elettorato magiaro – i cittadini sono disposti a perdere qualcosa in termini di libertà e diritti in cambio della sicurezza economica. Una tendenza che si sta affermando lentamente anche nel resto d’Europa: la libertà e i diritti sono sempre più spesso un “lusso” per chi ha la pancia piena.

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Chi è Claudia Leporatti

Giornalista, è direttore responsabile del giornale online Economia.hu, il principale magazine in italiano sull'economia ungherese e i rapporti Ungheria-Italia, edito da ITL Group. Offre tour guidati di Budapest in italiano e inglese. Parla inglese e ungherese, ma resta una persona molto difficile da capire. Scrive racconti e sta lavorando (o pensando) al suo primo romanzo. Nata a Bagno a Ripoli (Firenze) senza alcuna ragione, vive a Budapest, per lo stesso motivo.

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Un commento

  1. Grazie ragazzi per il bellissimo ed equilibrato articolo.

    Anche l’analisi reperibile al link da voi indicato appare estremamente lucida e completa.

    Per quanto la propaganda del governo Orban risulti spesso estremamente spregiudicata, dato il contesto attuale non mi stupisce che tutto sommato gran parte del popolo Ungherese ne apprezzi l’operato, e probabilmente lo premierà alle elezioni.

    Fa specie, invece, la scarsa attenzione dei media nostrani a quanto sta avvenendo in Ungheria. Anche se, a pensarci bene, la propaganda italiana, ostaggio da anni del “partito unico dell’euro”, ha evidente interesse ad occultare l’operato di un governo che, con tutte le difficoltà del caso, mantiene il controllo della propria politica monetaria e finora è riuscito a preservare il proprio popolo dalle folli manovre di macelleria sociale (“riforme strutturali” le chiamano) invocate dai nazitecnocrati di Bruxelles e dai loro ottusi accoliti.

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