POLONIA: Il testimone impiccato e la dinamite sull'aereo. Quale verità per la morte di Kaczynski?

Bomba o non bomba?

Era il 10 aprile di due anni fa. E’ stato l’incidente più grave, più controverso, più torbido della recente Storia europea. Quando il Tupolev 154 che trasportava il presidente della repubblica polacca, Lech Kaczynski, insieme agli alti papaveri militari è caduto a Smolensk, in Russia, molti hanno pensato che si trattasse di un attentato. Ma non c’erano prove. Oggi quelle prove – pur non schiaccianti  e definitive – sembrano esserci. Tracce di esplosivo sono state ritrovate di recente sui rottami dell’aereo presidenziale polacco. A dirlo è il quotidiano conservatore Rzeczpospolita: “i test hanno confermato la presenza di tracce di Tnt e di nitroglicerina su trenta sedili. Questa sostanza è stata individuata anche su un punto di congiunzione tra la carlinga dell’aereo e un’ala”.

E’ possibile, dice ancora il quotidiano polacco, che le tracce di sostanza esplosiva possano provenire da proiettili non esplosi che si trovano in massa sul territorio di Smolensk, teatro di furiosi combattimenti durante la Seconda guerra mondiale. Il portavoce della procura militare polacca che coordina l’inchiesta sulla catastrofe di Smolensk, Zbigniew Rzepa, non si è sbilanciato in merito.

Un’ombra inquietante

La notizia getta un’ombra inquietante su un incidente già abbastanza ambiguo. La malasorte ha infatti colpito un aereo che trasportava, oltre al presidente della Repubblica, anche il capo di stato maggiore dell’esercito Franciszek Gagor, quello della marina e quello dell’aviazione militare, il vice-ministro degli Esteri, Andrzej Kremer, il governatore della Banca centrale di Polonia, Slawomir Skrzypek, e una folta delegazione del governo, con 13 ministri, l’intero staff presidenziale, e alcuni deputati. C’erano anche Jerzy Szmajdziński, candidato di centro-sinistra alle elezioni presidenziali e l’ultimo presidente del governo polacco in esilio Ryszard Kaczorowski. In totale sono morte 96 persone. Tutte quelle che erano a bordo. Si stavano recando a Katyn per una celebrazione. La Polonia fu decapitata con quell’incidente, che fu fin dall’inizio derubricato a “incidente” poiché, si sa, certe cose in Europa “non succedono”.

Il testimone impiccato

Così come non succede, nella civile Europa, che venga trovato morto impiccato nello scantinato della sua casa a Varsavia uno dei testimoni chiave nell’inchiesta sul disastro aereo di Smolensk. Si tratta di Remigiusz Mus, 42 anni, ingegnere aereo che quel 10 aprile di due anni fa si trovava nella cabina di pilotaggio di uno Yak-40 decollato da Smolensk poco prima del tragico incidente. Da li’, grazie alla radio di bordo, aveva potuto sentire lo scambio di comunicazioni tra la torre di controllo dell’aeroporto russo e l’equipaggio del Tupolev polacco, che stava cercando di atterrare a Smolensk in difficili condizioni meteo.

Nella sua testimonianza Remigiusz Mus smentiva la commissione d’inchiesta russa* per la quale la responsabilità dell’incidente, avvenuto in fase d’atterraggio, sarebbe da imputarsi tutto ai piloti polacchi. Secondo l’ingegner Mus (ma secondo gli inquirenti polacchi) furono invece i controllori di volo russi a non aver dato le coordinate esatte all’aereo presidenziale polacco. Inoltre, l’inchiesta è stata caratterizzata dalle accuse di scarsa collaborazione da parte di Mosca, interessata – a detta di Varsavia – a coprire documenti invece necessari per stabilire l’accaduto.

Domande senza risposta

Restano le questioni di sempre, domande che forse mai avranno risposta. Anzitutto: perché tutta la dirigenza polacca era su quel volo? solo per andare a deporre una corona di fiori a Katyn? E perché l’aereo non era scortato, come è d’uso in ogni volo presidenziale, da caccia dell’aviazione? Ricordiamo che quella cui si stavano recando Kaczynski e l’alto comando militare era una cerimonia ufficiosa. A quella ufficiale fu invitato solo il primo ministro Donald Tusk. I rapporti tra presidente e primo ministro non erano idilliaci e lo smacco del mancato invito convinse Kaczynski a una cerimonia parallela. Ma perché portarsi i capi dell’esercito appresso e, per di più, tutti su un unico aereo?

Il secondo disastro di Katyn

Quello di Smolensk fu l’incidente delle coincidenze. Coincidenze storiche, anzitutto. A bordo dell’aereo presidenziale di fabbricazione russa, i più alti rappresentanti della Polonia stavano recandosi a commemorare i settant’anni dall’eccidio di Katyn dove, nella foresta non lontano da Smolensk, 22 mila ufficiali polacchi furono trucidati nell’aprile 1940 dalla polizia segreta (Nkvd) di Stalin, L’obiettivo era liquidare l’élite di quello Stato che Molotov, il braccio destro di Stalin, aveva sdegnosamente classificato come “misera creazione del Trattato di Versailles”. Ecco la prima simbolica e agghiacciante coincidenza: come allora Katyn diventa luogo in cui la nazione trova tragico destino, risvegliando memorie lacerate al punto che Lech Walesa ha parlato di “secondo disastro di Katyn”, tracciando una parabola forse impropria fra il massacro staliniano e l’incidente aereo.

Il gasdotto russo-tedesco

La morte di Lech Kaczynski avviene proprio all’avvio dei lavori del North Stream, quel gasdotto sottomarino che connetterà Vyborg, presso Pietroburgo. a Greifswald, nel Meclemburgo, collegando direttamente il gas russo alla Germania e scavalcando le repubbliche baltiche e la Polonia. A Varsavia l’hanno ribattezzato “gasdotto Molotov-Ribbentrop”. Eppure, proprio a margine della commemorazione ufficiale di Katyn, i primi ministri russo e polacco, Vladimir Putin e Donald Tusk, hanno siglato un accordo energetico valido fino al 2037.

I missili e lo scudo

Infine occorre ricordare “Eagle Guardian”, il piano di difesa della Nato (esteso anche alle repubbliche baltiche) pensato per proteggere la Polonia da un eventuale attacco russo. Il fatto stesso che un simile piano esista mette in luce i sempre tesi rapporti tra Mosca, Varsavia e Washington. Del piano fanno parte i missili (quel famoso scudo, accantonato e modificato, ma sempre presente) piazzati sul confine polacco a difendere l’Europa da un possibile attacco iraniano ma che Mosca (giustamente) ritiene puntati contro di lei. Il defunto Kaczynski era un accanito sostenitore dello “scudo” nonché un tenace (a tratti ossessivo) nemico del Cremlino. Alla sua morte lo “scudo” è stato rivisto e al momento resta in lista d’attesa. Ma le ansie polacche non sono solo il frutto di ataviche paranoie, soprattutto dopo le simulazioni militari compiute dai russi l’anno scorso aventi come obiettivo immaginario proprio Polonia e Paesi baltici. Un episodio che fece rizzare i capelli in testa al governo polacco e che certo non può prendersi alla leggera. Una “normale esercitazione” non si fa simulando l’attacco all’Europa, e la provocazione di Mosca era chiara.

Per destabilizzare l’est Europa?

In questo ampio quadro la morte del presidente Kaczynski può essere un elemento del puzzle come, invece, un semplice incidente che nulla c’entra con gasdotti e missili. Chi scrive ha la sua opinione: quello di Kaczynski non è stato un incidente. Questo apre interrogativi ulteriori cui è arduo rispondere. Chi è stato? e perché?  I missili della Nato, i gasdotti di Gazprom o il progetto Nabucco, il North e South Stream, la flotta dell’Armata rossa ancorata a Sebastopoli, le mire del Cremlino sul Caucaso meridionale, il terrorismo ceceno, daghestano e inguscio, la Turchia che compete per il gas cipriota, la crisi greca, il rimontare dei nazionalismi e dell’estremismo clero-fascista, sono tutti elementi che destabilizzano l’Europa orientale: cause ed effetti di strategie politiche, energetiche e militari che fanno dell’est europeo un fondamentale tassello geopolitico.

Questioni di mal di pancia

Un simile contesto non lo si può pensare come frutto di una pre-ordinazione. Nessuna cospirazione internazionale, per carità. Ma la destabilizzazione dell’Europa orientale rende l’area facile preda di questa o quella potenza in competizione. E la destabilizzazione dell’oriente europeo è, giocoforza, anche quella dell’occidente. Certo, non ci sono elementi fondati per supportare questa tesi. Mancano verità giudiziarie. C’è solo un aereo che trasporta tutta la leadership polacca che precipita. C’è solo un testimone chiave trovato impiccato a casa sua. Sulla dinamite, è tutto da verificare. E verranno smentite, come già in passato.

Forse c’è una verità da nascondere, nella morte di Kaczynski, che va oltre quella morte. Forse no. E’ questione di pregiudizi, di mal di pancia, di troppi film: credere nella malasorte o meno. E se c’è una verità da nascondere sotto i resti del Tupolev polacco, questa è troppo grande perché possa emergere. E’ il paradosso della verità: più è grande più è facile celarla con mistificazioni e inganni. Ma se una verità nascosta esiste, è così grande che anche chi scrive stenta a crederci. Eppure lo crede, contro ogni evidenza. E’ una questione di mal di pancia, dicevo.

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Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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5 commenti

  1. Sarà interessante capire se l’Europa orientale saprà resistere alla strategia della tensione, che un pizzico, magari, c’è pure. Qualche spunto per essere ottimisti ci sarebbe, comunque. La robustezza della Polonia, il dialogo polacco-tedesco stabilissimo, quello polacco-russo che tutto sommato fa passi in avanti, i paesi baltici che si sono ripresi abbastanza bene da una crisi che – in pochi l’hanno scritto – li aveva improvvisamente riportati a livelli dei primi anni ’90, i Balcani che tutto sommato proseguono sulla strada della cooperazione regionale. Un altro discorso è l’area più propriamente post-sovietica, dove Mosca ha ripreso, usando i mezzi per cui è nota, un buon controllo. Anche qui, però, ci sarebbero alcune osservazioni da fare. La Russia, tanto per cominciare, è entrata nel Wto. Sembrerà una cazzata, ma è la riprova che sono i russi stessi a essere consapevoli che volenti o nolenti non possono non guardare all’Europa se vogliono sopravvivere. Nessuna ipotesi Eurussia, per carità. Però alla fine la collaborazione economica con l’Ue non può che avere ricadute, lente, ma tangibili, sull’assetto economico e sociale della Federazione: più commerci, meno dazi, più piccole e medie imprese, una classe media più ampia e una crescente pressione dal basso per liberalizzare anche il sistema politico. Almeno un po’. Poi certo, se c’è davvero ‘sta strategia delle tensione sono cavoli amari per tutti.

    Matteo

    • colgo della giusta ironia. In effetti il pezzo sembra un estratto da Voyager, dischi volanti, cerchi nel grano, presidenti polacchi… ma come diceva Micio “ascolta un cretino”. A volte bisogna prendere una posizione, e l’ho presa. Può darsi abbia ecceduto o sbagliato in alcune valutazioni. Ma che quello di Kaczynski sia un incidente non lo credo.
      Matteo

  2. No, non era ironia. Era l’altra faccia della medaglia. Penso che ci sia un po’ di turbolenza, da quelle parti. Ma come potrebbe non esserci? Tutta quella marmellata di paesi è il frutto di spostamenti di frontiere e popolazioni giganteschi, di crolli di imperi e ideologie, di ritorni sulla scena di voglia di potenza. Non bastano di certo settant’anni a placare le acque. L’est è un coacervo di terre ancora mobili, fluide. Le tensioni ci saranno sempre e la Russia, ancora, continuerà a fare la sua politica un po’ invadente. Però si sono anche sviluppati contrappesi e anticorpi che non vanno sottovalutati. Vediamo come va a finire. Ciao,

    M.

  3. articolo perfetto. a essere ottimisti e dabbene si finisce come Chamberlain e Daladier a Monaco. Le menti che reggono le cose sono raffinate. Darla a bere alle masse, con l’aiuto della stampa e’ un gioco da ragazzi.

  4. Io non credo all’ipotesi bomba. Kaczynski è stato sconsiderato a voler a tutti i costi atterrare a Smolensk; i vertici militari che viaggiavano con lui avevano le sue stesse inclinazioni politiche; i controllori di volo russi ci hanno messo del loro (ho visto certi piloti russi in Africa…). Il resto (tritolo, morti impiccati, etc) mi sembrano speculazioni. PiS potrà cercare di montarci un’altra campagna elettorale, ma perderà di nuovo: ormai neanche i polacchi vogliono più sentirne parlare.

    Sull’esistenza di una strategia della tensione in Europa orientale posso essere d’accordo, anche se parlerei piuttosto di un “grande gioco”. Tuttavia credo anche nell’esistenza di anticorpi endogeni come dice Matteo Tacconi: il grande gioco non si gioca sopra le teste di questi paesi, ma essi ne prendono parte attiva. D’altronde ci troviamo nella zona di scontro tra due sfere d’influenza, quella dell’Europa unita e quella della Russia. Un po’ la stessa tesi di Timothy Snyder in “Bloodlands” alla fine.

    PS: credo ci sia ancora un gazebo di fronte al palazzo presidenziale di Varsavia, in cui si può firmare per l’incriminazione di Tusk, Komorowski e compagnia bella per alto tradimento… 🙂

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