Strasburgo, l’attentato che è tutto un complotto?

Certi attentati, se non ci fossero, bisognerebbe inventarli. In una Francia messa in ginocchio dalle proteste dei “Gilet gialli”, in cui il governo segna il passo e il presidente rischia la testa come un Luigi sedici qualsiasi, in cui la tensione sociale è alle stelle e il gradimento per Macron alle stalle, ecco che arriva l’attentato di Strasburgo a chiamare i francesi all’unità contro il nemico comune. E ci saranno esequie pubbliche e pubblici discorsi di cordoglio in cui ci si appellerà all’unità nazionale, al superamento delle divisioni, e chi oserà ancora protestare mentre il paese è in lutto? Un lutto che calerà come una censura, che farà guadagnare settimane preziose al governo e che raffredderà gli animi di molti. E gli altri, quelli che vorranno comunque protestare, dovranno affrontare il biasimo di quelli che invocheranno silenzio e rispetto per i morti. La protesta ne uscirà divisa, depotenziata, delegittimata persino. E tutto grazie a un piccolo attentato che casca a fagiolo. Solo le anime candide possono pensare si tratti di un caso. In Francia è in atto una strategia della tensione. Un complotto.

Tutto fila, tutto è chiaro, tutto è semplice. Ecco perché è una scemenza. Perché sbattersi a capire, perché perdere tempo a informarsi – che i media sono tutti manipolati e dicono menzogne, vero? – quando è possibile spiegare tutto con una teoria del complotto sentendosi anche degli intelligentoni mentre lo si fa. Perché affrontare la complessità del reale, la mancanza di leggi storiche a determinare l’agire umano, il naufragio nell’incertezza e nel dubbio, quando ci si può saldamente appigliarsi a una verità artefatta, confezionata al solo scopo di offrire risposte consolatorie per confermare le già balorde opinioni che ognuno di noi ha sul mondo?

Ê bastato un tweet, presto rimosso, a scatenare i minchioni da tastiera con i loro “l’avevo detto!”. Un tweet che, il giorno precedente ai fatti di Strasburgo, affermava: “A questo punto in Francia, se non sbaglio, la sceneggiatura dovrebbe prevedere un attentato”. Un bel messaggio, conciso, elegante, persuasivo. Infine profetico. Ma profetizzare il complotto non è certo difficile poiché è ormai divenuto una costante, una specie di gioco a chi la spara più grossa e quando ci si imbrocca, ecco, una profezia!

Tali profezie sono favorite dall’attuale sistema dei media. Il costo della produzione di notizie è sceso quasi a zero, facendo aumentare quelle false. Il costo in termini di tempo e risorse per smentire notizie false è maggiore di quello richiesto per inventarle. La menzogna è quindi economica, facile da prodursi ed efficace poiché agisce su un bias cognitivo proprio di tutti gli essere umani, quello che gli psicologi cognitivisti chiamano confirmation bias, ovvero il fenomeno per il quale le persone tendono a muoversi entro un ambito delimitato dalle loro convinzioni acquisite. Le teorie del complotto fanno esattamente questo: confermano i nostri pregiudizi sul mondo, sono semplici da capire, coerenti, lineari. Questo genere di conferme è assai appagante: ci si sente più intelligenti degli altri, capaci di guardare oltre gli inganni, senza capire che l’inganno è solo negli occhi di chi guarda.

Lo stesso inganno che ha portato alcuni di voi a questo articolo attratti da un titolo farlocco che già vi faceva fregare le mani dalla goduria. Lo stesso inganno che scatena commentatori seriali sui social, di quelli che non leggono l’articolo ma si fermano al titolo, eroi del pregiudizio e disinteressati ai contenuti.

Secondo alcuni studi, confutare le teorie del complotto finisce per rafforzarle poiché conferma l’idea che tutto sia, in fondo, un grande santa spectre. E allora i media indipendenti diventano “pagati da Soros”, la ricerca della verità diventa “disinformazione”, in un mondo rovesciato in cui il vero diventa falso e viceversa. Si arriva così al punto che i complottardi più beceri diventino paladini della verità e, dall’alto del loro scranno di latta, lancino i loro strali su chi cerca di ristabilire l’ordine nel reale. Se poi questi complottardi finiscono nominati ai vertici di televisioni e giornali, ecco che non c’è più possibilità di discernimento. Le menzogne diventeranno ufficiali, di stato, e lo stato bugiardo prenderà l’unica strada possibile, quella dell’autoritarismo. Il lavoro allora renderà di nuovo liberi, qualche Duce ci darà di nuovo le pensioni, e saremo ancora e sempre brava gente.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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Un commento

  1. Che i complottari siano i faciloni del senno di poi mi trova d’accordo ma che i dittatori nascano da un complotto è anche faciloneria. Questi nascono perché generati da politici corrotti che falliscono i veri temi sociali per assoluta mancanza di visione politica: politica? che vuol dire? Cordialità.-

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