Il referendum sulla Brexit ci dice che “più Europa” è la risposta sbagliata

Il presidente della commissione dell’Unione Europea, Jean-Claude Juncker, ha dichiarato che, se la Brexit dovesse materializzarsi, “l’UE non sarebbe in pericolo di vita e il percorso di integrazione continuerebbe, anzi verrebbe aumentato“. Ed ecco che, in una semplice frase, Juncker dimostra di non avere compreso che il voto britannico, indipendentemente dall’esito, è un segnale del malcontento europeo nei confronti dell’UE. Poiché, se è vero che l’euroscetticismo d’Oltremanica è proverbiale, la diffidenza verso l’Unione è in aumento anche in paesi tradizionalmente europeisti, non da ultimo l’Italia. Far finta che questo dissenso non esista, cancellare con un colpo di spugna il voto di così tanti britannici, sarebbe irresponsabile.

Il voto britannico è l’occasione per fermarsi e riflettere, coinvolgendo i cittadini, su come vogliamo unire questa Europa. La risposta al voto britannico non può essere “più Europa” calata dall’alto, senza discussione, senza partecipazione, magari gridando “al lupo” quando forze ultra-nazionaliste o xenofobe emergono dalla pancia delle nostre società: forze che sono il risultato diretto della mancanza di partecipazione; forze attraverso cui un numero crescente di cittadini europei si illude di poter tornare a decidere del proprio destino politico.

Ma pensare che l’uomo chiamato a guidare l’UE sia un inetto, sarebbe arrogante. La frase di Juncker non è frutto dell’ignoranza ma del disinteresse verso i valori democratici. Un disinteresse diffuso tra molti di coloro che, anche nel nostro paese, ritengono negativa l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione e che in coro hanno condannato Cameron per avere indetto un referendum su una questione così delicata, una questione su cui i cittadini non dovrebbero essere chiamati a esprimere un parere. Il referendum, secondo costoro, è strumento utile per decidere di questioni sociali, come divorzio, aborto, diritti umani, ma non su faccende politiche per le quali spetta al governo prendersi la responsabilità che, effettivamente, gli elettori gli hanno delegato.

Tuttavia la Gran Bretagna non uscirà indebolita da questo voto. Anche vincesse la Brexit, e si dovessero affrontare difficoltà economiche, il paese vedrà rafforzata la propria democrazia e su quelle basi costruirà il proprio futuro. Sarà invece l’Unione a uscire indebolita, sempre meno democratica, sempre meno partecipata, sempre più chiusa in se stessa e magari soggetta alla supremazia economica e politica tedesca. E, in caso di Brexit, amputata di una sua parte fondamentale. Con la possibilità che la Brexit rappresenti un precedente per altri paesi. Quindi no, caro Juncker, l’Europa non è in pericolo di vita, ma non tutte le idee di Europa meritano di vivere.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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