SIRIA: Gli Stati Uniti combatteranno al fianco di Al-Qaeda

La morte è così messa in scena. Nello schermo televisivo la fila dei bambini ammazzati dal gas nervino, il peggiore dei crimini di al-Assad, uccide lo spettatore: è una fila bianca, in bella posa per le telecamere, una morte che si è fatta bella per accecare chi la guarda e toglierla da qualsiasi contesto. E’ una morte assoluta, che tranquillizza persino carica com’è di simbolo e mito. Viene in mente Erode, la furia di un male più grande di noi. Un male contro il quale non si può nulla, inumano, che ci assolve. E’ una morte che arriva alla pancia, non al cervello. E’ una morte che seppellisce la verità in menzogne incrociate o parallele. La messa in scena della morte confina la ragione e lascia campo alle emozioni, all’umanitario che – il regista è pronto – va difeso con le bombe.

E il premio Nobel per la pace, Barack Obama, ha già scatenato i mastini della guerra. Ma sarà un’operazione chirurgica, assicura. Non è il presidente siriano al-Assad l’obiettivo, tranquillizza. Solo vogliamo colpire con qualche bravo missile intelligente le postazioni strategiche del esercito siriano. Utile, davvero. E non serve l’avallo dell’Onu, dai, è un’operazione così chirurgica che nemmeno puoi chiamarla bellica!

Vabbé, inutile dirci cose che sappiamo: che le armi chimiche, fin qui, le hanno usate i “ribelli” come ha riportato la Commissione Onu che indaga sui crimini di guerra in Siria. Certo, la Commissione non esclude che pure le truppe governative ne facciano uso ma, semplicemente, non hanno ancora le prove. E in attesa di queste prove il governo britannico, falco fino a ieri, si traveste da colomba. Ma poi, anche venissero presentati all’opinione pubblica incontrovertibili riscontri, nessuno potrà mai sapere se sono veri oppure artefatti. Tutti ricordiamo le menzogne dell’amministrazione americana prima della guerra in Iraq. Uno dei più gravi problemi della politica a stelle e strisce dalla caduta del Muro di Berlino ad oggi è il deficit di credibilità: una volta era una questione ideologica essere critici verso Washington e la sua politica. Oggi è una questione di buon senso: dietro la retorica umanitaria si cela l’interesse economico, lo sanno anche i bambini. E rifiutare Washington non è negare i valori di libertà e democrazia su cui si fonda l’occidente, ma proporne di diversi, altrettanto (forse più) democratici e liberali.

E pure è inutile dirci che quella di Obama sembra una mossa finalizzata a salvarsi la faccia, a mascherare l’incapacità americana di gestire la transizione in corso nel mondo arabo. Una transizione che, speriamo, potrebbe portare il Nordafrica e il Medioriente lontano dalle autocrazie del secolo scorso. Il pericolo, lo sappiamo, è la diffusione del fondamentalismo islamico e davvero qui gli Stati Uniti hanno dimostrato tutta la loro inadeguatezza. Già, perché in questa guerra contro Damasco l’amministrazione americana combatterà – come scrive Robert Fisk sull’Indipentent “dalla parte di al-Qaeda”. Non è una forzatura: buona parte dei cosiddetti ribelli è composta da salafiti e wahabbiti, gente che Human Right Watch ha etichettato come “criminali di guerra”. Oh, non che al-Assad non lo sia. Ma prendere le parti del fondamentalismo forse con la miope convinzione di poter poi gestire la transizione mettendo le mani sul petrolio è, ad oggi, ridicolo. Ma questa guerra ridicola non ucciderà meno.

La conseguenza peggiore della “guerra al terrorismo” e della costruzione, dopo la fine dell’Unione Sovietica, di un nuovo ineffabile nemico, è che il fondamentalismo islamico è stato elevato al rango di credibile antagonista, di pericolo concreto. Al-Qaeda e il suo malvagio fantoccio Bin-Laden si sono reificati: oggi le società musulmane (e non solo) si trovano a fare i conti con il fondamentalismo che ne ostacola la necessità di trasformazione. L’Arabia Saudita, intoccabile alleato di Washington, finanzia e protegge il fondamentalismo. Gli Stati Uniti, con la loro guerra chirurgica contro Damasco, faranno il gioco di questa gente. E così si mettono bene in fila i bambini uccisi dal gas, in fila come noi dall’altra parte della telecamera in cerca di una consolazione, di una balla che ci metta a posto la coscienza, di un imbonimento che ci convinca di quanto è giusta e necessaria questa guerra.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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4 commenti

  1. Girello Destrorsi

    Ottimo pezzo.

  2. Complimenti!!! un analisi attenta e molto interessante. Bravo!

  3. Complimentoni un grandissimo articolo, purtroppo certe cose son dette solo qui fossero diffuse sui mesi televisivi giorno dopo giorno l’opinione pubblica capirebbe molte cose dalla Siria all’Afganistan , dal Kosovo all’Ucraina dall’Iraq al Sud Sudan!!
    Grazie

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