CAUCASO: Il primo ministro armeno e il presidente azero si sono incontrati

Lo scorso 29 marzo si è svolto a Vienna un incontro ufficiale tra il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev. È la quarta volta che i due leader si sono parlati di persona da quando Pashinyan è salito in carica come conseguenza della cosiddetta Rivoluzione di velluto di un anno fa.

Il colloquio nella capitale austriaca ha un ruolo simbolico rilevante. A differenza dei tre precedenti, si è svolto sotto l’egida del Gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), la struttura di lavoro che dal 1992 è incaricata della risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh.

Una questione irrisolta

Il controllo di questo remoto territorio montuoso costituisce il pomo della discordia nelle relazioni tra Baku e Erevan fin dall’epoca sovietica. Negli anni venti, la demarcazione staliniana dei confini aveva visto la regione, con una popolazione a maggioranza armena, diventare una repubblica autonoma all’interno della RSS azera. Una guerra tra il 1988 e il 1994, costata 30 mila morti e centinaia di migliaia di rifugiati, ha portato alla secessione dall’Azerbaigian. Oggi il Nagorno-Karabakh è uno degli stati non riconosciuti nell’ex territorio sovietico, ma la sua indipendenza si regge sul supporto finanziario, politico e militare dell’Armenia.

L’accordo di cessate il fuoco di Bishkek del 1994 viene frequentemente violato dalle due parti e le schermaglie sono degenerate in un conflitto aperto – la cosiddetta guerra dei quattro giorni – nell’aprile del 2016.

Un nuovo inizio?

Nel comunicato stampa dell’OSCE si parla dell’atmosfera “positiva e costruttiva” che ha caratterizzato l’incontro del 29 marzo. I due presidenti si sono impegnati a rafforzare il cessate il fuoco e a mantenere una linea diretta di dialogo.

Si tratta del consueto linguaggio diplomatico, i negoziati hanno prodotto pochi risultati tangibili nel corso degli ultimi venticinque anni e la situazione non potrà, verosimilmente, essere risolta nel breve periodo.

Indubbiamente però, l’avvento di Pashinyan al potere in Armenia ha influenzato la dinamica dei processi di pace. Al contrario dei predecessori Robert Kocharyan e Serzh Sargsyan, l’attuale primo ministro non è parte del cosiddetto clan del Karabakh, il gruppo di potere nativo della regione separatista che ha dominato la scena politica del paese nell’ultimo ventennio. Ciò non implica una maggiore apertura di Pashinyan al  dialogo con Baku, ma sicuramente un approccio, a livello personale, diverso alla questione.

Nonostante lo scorso gennaio il premier abbia annunciato un nuovo corso nella politica di risoluzione del conflitto, non ha specificato in cosa esso consista precisamente. Pashinyan ha, al contempo, rinnegato la linea “territori in cambio di pace”, promossa da Levon Ter-Petrosyan, primo presidente – tra il 1991 e il 1998 – dell’Armenia post-sovietica. In base a questa dottrina, storicamente la più efficace sul tavolo delle trattative, la pedina di scambio per ottenere una risoluzione permanente del conflitto sarebbe il ritiro delle forze armene da quei territori sotto il loro controllo, ma che non erano parte della regione autonoma del Nagorno-Karabakh dell’epoca sovietica.

Se la posizione di Erevan è ambigua, quella di Baku, rimasta invariata negli anni, è stata chiaramente enunciata dal presidente Aliyev alla TASS: “la priorità dei negoziati deve essere il ritiro delle forze armene dai territori internazionalmente riconosciuti come parte dell’Azerbaigian”. L’esclusione delle autorità de facto del Karabakh dal tavolo delle trattative è, poi, considerata positivamente sulle rive del Caspio, dove l’obbiettivo è sempre stato quello di un dialogo diretto con l’Armenia a sottolinearne la responsabilità della situazione.

La riapertura delle trattative di pace non deve destare false illusioni. Lo sfondo della fotografia ufficiale dell’incontro del 29 marzo rappresenta una metafora accurata della situazione: due elefanti legati tra loro che tirano in direzioni opposte. In modo simile, Armenia e Azerbaigian portano avanti due posizioni inconciliabili tra di loro: l’affermazione del principio di autodeterminazione dei popoli da parte armena, contro quello di integrità territoriale, sostenuto dagli azeri. Gli incontri tra capi di stato possono portare a risultati rilevanti nel breve periodo, quali la diminuzione delle schermaglie sulla linea di fronte e la prevenzione di una nuova escalation come quella del 2016. Le belle parole e le dichiarazioni di intenti non sono, però sufficienti per una risoluzione permanente del conflitto.

Immagine: Eurasianet

Chi è Aleksej Tilman

È nato nel 1991 a Milano dove ha studiato relazioni internazionali all'Università statale. Ha vissuto due anni a Tbilisi, lavorando e specializzandosi sulle dinamiche politiche e sociali dell'area caucasica all'Università Ivane Javakhishvili. Parla inglese, russo e conosce basi di georgiano e francese.

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