La Lettonia renderà pubblici gli archivi del KGB

Dopo oltre vent’anni di accesi dibattiti, la Lettonia ha finalmente deciso di rendere pubblici gli archivi del KGB, i servizi segreti sovietici. Tra poche settimane, il Centro per la Documentazione delle Conseguenze del Totalitarismo trasmetterà all’Archivio Nazionale della Lettonia tutta una serie di documenti che diventeranno accessibili online entro la fine del 2018. La pubblicazione sarà accompagnata dal lancio di una mostra, anch’essa virtuale, che avrà il compito di contestualizzare gli archivi e di fornire una chiave di lettura al pubblico.

La decisione di pubblicare gli archivi del KGB è il risultato di un voto storico del Parlamento (Saeima) lettone: lo scorso 4 ottobre, 71 deputati su 100 hanno votato a favore del disegno di legge avente lo scopo di “informare il pubblico sul regime totalitario che governò la Lettonia durante l’occupazione, sul totale controllo sociale, sui meccanismi e gli strumenti usati da tale regime, e promuovere la possibilità per il pubblico di comprendere le conseguenze di questo regime, di superarle e di continuare a sviluppare la democrazia in Lettonia”.

Secondo quanto riportato dal sito d’informazione lettone LSM.LV, gli archivi che saranno pubblicati entro la fine dell’anno contengono 4.300 schede di agenti del KGB e un indice alfabetico e statistico dell’agenzia; altri documenti saranno resi pubblici successivamente. Secondo la legge, i documenti relativi alle vittime del KGB (che si trovano in archivi separati) non saranno pubblicati online, ma saranno comunque disponibili per chi volesse effettuare delle ricerche.

Le “borse della Čeka”

Si stima che tra il 1953 e il 1991 in Lettonia siano stati attivi tra i 25.000 e i 30.000 agenti del KGB. Tra il 1990 e il 1991, i servizi segreti iniziarono a distruggere i propri archivi nei Baltici. Le cose precipitarono con il rapido riconoscimento dell’indipendenza di Lettonia, Estonia e Lituania e col fallimento del putsch dell’agosto 1991 a Mosca: in fretta e furia, gli agenti del KGB bruciarono gli ultimi documenti rimasti nelle sedi di Vilnius e Tallinn, mentre a Riga non riuscirono a sbarazzarsi di tutti gli archivi.

Quando le forze indipendentiste lettoni occuparono la sede del KGB della capitale (la cosiddetta “Casa d’angolo”), trovarono al suo interno circa 4.300 schede usate per identificare gli agenti del KGB, nascoste insieme ad altro materiale archivistico in quelle che divennero poi note col nome colloquiale di “borse della Čeka”.

I documenti rinvenuti nella sede del KGB di Riga costituiscono un caso unico nei Baltici e hanno fatto sì che la Lettonia disponesse di fonti concrete per mettere in atto un processo di lustrismo – ovvero di “epurazione” del nuovo regime democratico dal lascito del passato sovietico, attraverso la denuncia e l’esclusione dalle cariche pubbliche di coloro che avevano collaborato con i servizi segreti o che erano stati funzionari del partito comunista.

Verso la metà degli anni novanta, la Lettonia si dotò di una legge per impedire agli ex agenti del KGB e agli individui associati con organizzazioni filo-sovietiche di candidarsi alle elezioni nazionali e di accedere ai segreti di stato. Il Centro per la Documentazione delle Conseguenze del Totalitarismo venne creato proprio allo scopo di analizzare gli archivi del KGB e mettere in atto tale legislazione. Eppure, quella della pubblicazione degli archivi si rivelò una questione molto meno semplice da risolvere.

Le polemiche

La possibilità di pubblicare gli archivi del KGB, e quindi i nomi degli agenti, è stata al centro delle polemiche in Lettonia già dalla fine degli anni novanta. Nei primi anni 2000, un decreto sulla pubblicazione fu bocciato per due volte dalla Saeima e criticato dall’allora presidente Vaira Vike-Freiberga. L’opinione pubblica è inoltre a lungo stata divisa tra coloro che sostenevano che i nomi degli ex agenti del KGB dovessero essere rivelati e denunciati, e altri che invece dubitavano dell’autenticità degli archivi e delle informazioni in essi contenute. Finora, solo pochissimi personaggi pubblici hanno dichiarato di essere stati agenti del KGB: tra questi ricordiamo il poeta Janis Rokpelnis, l’ex rettore dell’Università della Lettonia, e l’ex ministro degli esteri Georgs Andrejevs.

Negli ultimi anni, ripetute richieste sulla pubblicazione degli archivi del KGB erano state avanzate da noti personaggi della vita pubblica del paese – tra cui la dissidente sovietica Lidija Doronina-Lasmane. Ma è il centenario dell’indipendenza della Lettonia, celebratosi proprio lo scorso novembre, ad aver ridato una certa urgenza alla questione e ad aver spinto la Saeima ad approvare finalmente la legge. Lo scorso mese, un film documentario intitolato “Lustrum”, che racconta delle attività del KGB in Lettonia, è anche stato presentato in diverse città – segno che il paese sta comunque portando avanti la riflessione sul lascito dell’epoca sovietica.

Se la voglia di verità riguardo al periodo dell’occupazione sovietica è alla fine prevalsa, alcuni analisti avevano invitato il governo a non pubblicare gli archivi prima delle elezioni tenutesi lo scorso ottobre, per non correre il rischio di polarizzare ulteriormente l’opinione pubblica. Ma fino a che punto la prossima pubblicazione di questi archivi rischia di destabilizzare la società lettone, come in molti hanno teorizzato?

Archivi del KGB: istruzioni per l’uso

E’ possibile che la pubblicazione delle schede degli ex agenti dei servizi segreti riserverà qualche sorpresa ai cittadini lettoni, e che si scateneranno nuove controversie su come queste rivelazioni possano e debbano essere gestite sul piano pubblico, politico e storico. Ma gli archivi che presto saranno pubblicati andranno soprattutto trattati con cautela.

In primo luogo, gli archivi sono incompleti: le 4.300 schede in essi contenuti rivelano l’identità di una minima parte degli agenti che lavorarono nei servizi segreti lettoni (per l’esattezza un quinto del totale) tra il 1953 e il 1991. L’identità degli altri agenti non sarà rivelata, perché i file sono stati distrutti o trasferiti in altri archivi, e non si hanno fonti sulle persone che collaborarono con i servizi segreti prima del 1953.

Inoltre, gli archivi riveleranno i nomi degli agenti, ma non daranno informazioni sulle azioni compiute da questi. Durante l’epoca sovietica, molti cittadini furono costretti ad accettare di diventare agenti del KGB (per fare carriera o perché sottoposti a varie forme di pressione), ma non tutte le persone iscritte sulle liste collaborarono in maniera davvero attiva.

Infine, sembra che le informazioni su quegli ex agenti del KGB che hanno in seguito ricoperto funzioni di alto rango all’interno delle strutture di potere sovietiche (ad esempio, il partito comunista, le organizzazioni giovanili comuniste, ma anche gli organi di giustizia) venissero solitamente distrutte al fine di non comprometterne l’identità. 

Foto: thedailybeast.com

Chi è Laura Luciani

Nata a Civitanova Marche, è dottoranda in scienze politiche presso la Ghent University (Belgio), con una ricerca sulle politiche dell'Unione europea per la promozione dei diritti umani e il sostegno alla società civile nel Caucaso meridionale. Oltre a questi temi, si interessa di spazio post-sovietico in generale, di femminismo e questioni di genere, e a volte di politiche linguistiche. E' stata co-autrice del programma "Kiosk" di Radio Beckwith.

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