jack london

Seguite il richiamo! Ricordando Jack London

Il richiamo è irresistibile, e trascende ogni regola – anche nostra, editoriale, dello scrivere sempre e solo di est. E invece no, c’è un grande nord di ghiacci e foreste che bisogna per forza dire, deragliando i binari dell’atteso. Ed è il nord di Jack London, nato oggi, seppur nel lontano 1876, figlio abbandonato, vagabondo e poi pescatore clandestino, che trascorse anni in mare e in terra naufragò cercando l’oro tra i boschi dell’Alaska, corrispondente di guerra, socialista, lavandaio, pugile, assicuratore, fino alla morte: suicida a quarant’anni dopo che il successo come scrittore gli rivelò la vanità del mondo. London è stato tutti gli uomini, ha vissuto tutte le vite, vagabondo delle stelle si è reincarnato senza mai morire, ha visto la fine del mondo, la peste scarlatta, e ha raccontato il tallone di ferro di un capitalismo totalitario e brutale. Ma soprattutto ha vagato tra le nevi eterne, tra i lupi e le bufere, inseguendo se stesso.

La sua opera è vastissima e solo per alcuni – oh stolti! – declassata al rango di letteratura per ragazzi. Se davvero i ragazzi sapessero leggere London, se davvero le oneste mamme evitassero pappette pedagogiche à la Pitzorno gettando invece i loro figli in pasto alla disperazione senza fine, al coraggio indomito, all’amore per la vita di Jack London, il mondo sarebbe un posto migliore. Se davvero si capisse che la letteratura per ragazzi deve essere altissima, poiché maestra di vita, puntando a crescere uomini e donne liberi, allora sì, Jack London sarebbe per ragazzi. Perché i ragazzi devono seguire il richiamo, lasciare la casa del padre, rifiutare la sicurezza dell’esempio, impedire il rovesciamento di una generazione nell’altra, spezzando la catena della ripetizione sempre uguale del mondo. I ragazzi devono perdersi e Jack London è una bussola perfetta per perdersi.

Su tutti, c’è un che libro porta sulla cattiva strada, ed è il Richiamo della foresta il cui titolo originale, The Call of the Wild, restituisce tutta la potenza di quella chiamata verso un mondo selvaggio che è metafora di libertà. Si tratta di uno dei più importanti romanzi di formazione mai scritti, al pari del Wilhelm Meister di Goethe, del Tom Jones di Fielding, di Jane Eyre della Brontë. Ma il Bildungsroman di London ha due particolarità che lo rendono unico: protagonista non è un giovane ma un cane; e quel cane ha una psicologia, viene cioè narrato dall’interno. E proprio l’avvento della psicologia dei personaggi, che aveva messo in crisi il Bildungsroman come genere letterario, diventa con London rinascita delle possibilità di formazione della letteratura.

Il problema del Richiamo della foresta è che è sempre stato tradotto così male da perdere tutta la sua carica narrativa. L’incapacità dei traduttori di restituire il complesso stile di London ha fatto di quest’opera un innocuo libretto per idioti, la storia di un cane e basta. E in questa veste è stato propinato a generazioni di ragazzi che lo hanno letto come un romanzo d’avventura, vieppiù rifiutandolo come vecchia storia di un mondo lontano e superato.

Il problema sta tutto nella traduzione dell’opera: la sintassi elementare della lingua inglese viene abitualmente tradotta in italiano tale e quale, con brevi frasi scandite e autonome, che non hanno riscontro nella nostra lingua se non nella forma giornalistica moderna, che infatti fa schifo. La lingua italiana consente invece di elidere il soggetto, di invertire l’ordine soggetto predicato, di produrre lunghe frasi intonate sugli apici tonici delle parole, dando una musicalità affatto diversa dall’inglese in cui, al contrario, vige una ritmica – un beatnon traducibile in italiano. London usa il beat creando uno stile percussivo incalzante, di costante misura ritmica, mescolando lo stile dell’americano parlato a quello dell’inglese letterario. Nasce così uno stile unico e del tutto nuovo per la letteratura inglese, arricchito di arcaismi lessicali e inversioni sintattiche che conferiscono al testo tonalità proprie dell’epica. Uno stile che i traduttori italiani hanno ucciso in subordinate e punteggiatura (quasi assenti in London) rifiutando il tono epico dell’originale.

A metterci una pezza è l’editore Einaudi che nel 1996 dà alle stampe una traduzione del Richiamo fatta da Gianni Celati che restituisce magistralmente la potenza e l’epicità dell’originale. La traduzione celatiana è un’opera nell’opera, da gustarsi anche per coloro che sono in grado di accedere all’originale in lingua inglese. Grazie al lavoro di Celati, finalmente anche il lettore italiano può entrare pienamente al testo di London penetrandone la complessità del messaggio. Poiché non si tratta della storia di un cane che fugge nel bosco ma del difficile, doloroso, percorso che porta l’individuo a scoprire l’amore, difendendolo dalle minacce del tempo, con fedeltà e dedizione, fino alla consapevolezza che l’amore è grande ma c’è un altro orizzonte, più grande e sconfinato, che è la libertà individuale. Una libertà inaccessibile per coloro che stanno al guinzaglio dell’amore e che il protagonista – il cane Buck – scopre alla morte del padrone, lanciandosi di corsa verso la foresta, realizzando infine ciò per cui si sente vocato. Il romanzo di London ci dice che la libertà è rinuncia alle catene dell’amore (anche l’amore dei genitori, eh già)una rinuncia penosa e quindi coraggiosa, perché ogni libertà ha un prezzo, ed è un prezzo salato. London non consola il lettore, non gli dice “vedrai andrà bene”, ma lo sgomenta affermando l’asprezza di una vita in cui pace e felicità sono fragili e temporanee conquiste e serve coraggio per andare avanti, un coraggio quotidiano e indomito.

In un’epoca in cui i giovani vengono educati alla servitù, consolati con inesistenti lieto fine, incatenati al falso mondo dei media, impediti all’errore, il libro di London diventa una bussola per ragazzi cui occorre insegnare a perdersi, praticando la perversione della libertà.

E ora basta, fine della predica, è suonata la campanella, liberi tutti. Ciao Jack, se c’è un dio che abbia per te lupi e sconfinate foreste.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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