Quando la Federazione calcistica dei Paesi Bassi decise di lanciare, lo scorso ottobre, una campagna di “sensibilizzazione alla diversità” che coinvolgesse i giocatori delle squadre del campionato di vertice, di certo non si aspettava che l’iniziativa avrebbe generato ripercussioni omofobe e violente all’altro capo dell’Europa, in Georgia.
L’arcobaleno della discordia
Il 15 ottobre 2017, il georgiano Guram K’ashia, difensore del Vitesse Arnhem, scendeva in campo con la propria squadra contro l’Heracles Almelo, in una partita come tante nel campionato olandese. Quache ora dopo, la foto di K’ashia con al braccio una fascia color arcobaleno era al centro delle polemiche a Tbilisi. Non solo gli utenti di Facebook, ma anche giornalisti di testate locali e nazionali inveivano contro il vice-capitano della nazionale georgiana: manifestando aperto sostegno alla comunità LGBT, K’ashia avrebbe insultato le tradizioni e la religione del proprio paese. “Se LGBT-Kashia (sic) osa ancora vestire la maglia nazionale, gli uomini georgiani boicotteranno la squadra” – scriveva un giornalista georgiano pochi giorni dopo la partita.
In un’impensabile escalation, il 31 ottobre un gruppo di persone appartenenti al movimento ultra-nazionalista “Marcia georgiana” (già tristemente noti in quanto organizzatori della marcia anti-immigrazione tenutasi a Tbilisi lo scorso luglio), ha organizzato una manifestazione davanti alla sede della Federazione calcistica georgiana, chiedendo l’espulsione di K’ashia dalla nazionale. La protesta ha rischiato di degenerare nella violenza poiché gli ultranazionalisti hanno preso a bruciare delle bandiere arcobaleno, e hanno in seguito cercato di opporre resistenza agli agenti di polizia intervenuti per fermarli.
Omofobia dilagante?
Sebbene possa sembrare sproporzionata, la reazione della società georgiana al “caso K’ashia” è tutt’altro che sorprendente, in un paese in cui la mentalità e i costumi sono ancora fortemente influenzati dalle tradizioni, dai tabù e dai valori promossi dalla Chiesa Ortodossa. Nel maggio 2013, il patriarca Ilia II si era opposto all’organizzazione di una manifestazione per i diritti LGBT nella capitale georgiana, descrivendo l’omosessualità come “un’anomalia e una malattia”. Due giorni dopo, i manifestanti venivano attaccati brutalmente da contro-dimostranti ortodossi.
Gli studi più recenti confermano che, in Georgia, le attitudini predominanti verso i membri della comunità LGBT sono negative, e si affiancano a casi di violenza psicologica e fisica. Oltre il 90% dei georgiani preferirebbe avere dei vicini di casa o dei colleghi alcolisti piuttosto che omosessuali. Inoltre, sembra che le attitudini siano ancora più negative nei confronti di uomini gay, e che il livello di bifobia sia ancora più elevato del livello di omofobia – poiché i bisessuali avrebbero “un’identità fluida e instabile”. Infine, le donne gay sono particolarmente soggette ad aggressioni fisiche in quanto la loro omosessualità costituisce una “violazione” del ruolo di genere tradizionalmente assegnato alla donna, ovvero l’archetipo della “madre georgiana”.
“Tolleranza” alla georgiana
Oltre ad influenzare l’intera società georgiana, la Chiesa Ortodossa intrattiene un legame molto stretto con il potere politico: secondo Eka Chitanava, direttrice dell’Istituto georgiano per la tolleranza e la diversità, “nella Georgia post-sovietica la Chiesa ortodossa ha progressivamente assunto uno status dominante a causa di una politica statale che le ha assicurato sussidi e altri compensi materiali, a discapito delle altre confessioni presenti sul territorio. In questo modo è venuta a crearsi una relazione particolare: i politici “ingrassano” la Chiesa, e quest’ultima assicura ai politici la propria quota di legittimazione agli occhi dell’opinione pubblica”.
In questo modo, la Chiesa tollera e avalla le posizioni dei partiti politici e dei gruppi sociali più conservatori, tra cui gli ultra-nazionalisti georgiani, che basandosi sulla presunta difesa dell’identità culturale e religiosa georgiana promuovono delle istanze razziste, misogine e omofobe. Ancora a metà novembre, e nonostante l’arresto di sei membri del gruppo durante le manifestazioni “anti-K’ashia”, gli ultranazionalisti georgiani hanno promesso di continuare a marciare “contro la comunità LGBT e tutti coloro che la sostengono” e contro la “propaganda omosessuale”.
Fuori dal coro
Parte della società georgiana ha invece espresso il proprio sostegno a Guram K’ashia. Il suo gesto è stato apertamente appoggiato da altri giocatori della nazionale e da personalità di spicco della vita pubblica e politica del paese, tra cui il presidente georgiano Margvelashvili e il neo-eletto sindaco di Tbilisi, nonché ex-calciatore, Kaladze. Secondo l’ex presidente della Federazione calcistica georgiana, Zviad Sichinava, “K’ashia ha affermato che tutti gli esseri umani, indipendentemente dal loro orientamento sessuale, fanno parte della nostra società e che la loro discriminazione è inammissibile”. Segno che anche in Georgia i tempi e il dibattito pubblico sui diritti LGBT stanno cambiando? La risposta non è univoca.
Nonostante i quotidiani episodi di discriminazione e violenza (più di 30 aggressioni rivolte a persone LGBT nel 2016), la Georgia è stata recentemente descritta come un “porto sicuro” per individui queer perseguitati altrove. Sebbene non ci siano numeri ufficiali, Ia Pozov del Ministero per i Rifugiati georgiano sostiene che negli ultimi tre anni almeno 20 persone hanno introdotto una richiesta d’asilo in Georgia dopo essere fuggiti da persecuzioni legate alla loro identità di genere. Le “opache” procedure d’asilo georgiane rendono però estremamente incerto il futuro di queste persone, provenienti per la maggior parte da altri paesi del Caucaso (come l’Azerbaigian) o dal Medio Oriente.
Le elezioni comunali tenutesi lo scorso ottobre a Tbilisi hanno inoltre visto per la prima volta la partecipazione di una candidata sindaco apertamente LGBT: Nino Bolkvadze del Partito Repubblicano, un’avvocatessa specializzata in casi di discriminazione. A vincere è stato però il candidato del Sogno Georgiano, partito di maggioranza parlamentare che ha da pochi mesi iscritto nella riformata Costituzione georgiana un chiaro divieto sulle unioni omosessuali.
Malgrado qualche apertura, il dibattito sulle tematiche LGBT in Georgia sembra ancora restare invischiato nel generale clima di intolleranza, e nelle incestuose dinamiche che regolano i rapporti tra la politica, la Chiesa ortodossa, e la società.
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Foto: RFE/RL