di Micol Flammini
Via Krakowskie Przedmieście, a pochi chilometri dal castello di Varsavia. Davanti al palazzo presidenziale c’è la statua equestre del principe Józef Poniatowski, figlio dell’ultimo re di Polonia. Dietro, sventolano tre bandiere: quella bianca e rossa della Polonia, le dodici stelle dell’UE e il simbolo della NATO. Varsavia fa parte dell’alleanza atlantica dal 1999. Da allora contribuisce a finanziarla con le spese per la difesa, cresciute del 70%.
Per i polacchi, essere sotto l’ombrello NATO non significa però soltanto sicurezza, garanzia di inviolabilità dall’ancora temibile vicino russo, ma anche legittimazione. Credibilità e riconoscimento della propria importanza sullo scenario internazionale.
Varsavia è diventata un partner appetibile per l’organizzazione atlantica. Dopo aver rispettato i requisiti richiesti dall’alleanza e aver partecipato con truppe proprie in missioni internazionali rappresenta, di fatto, un cuscinetto sicuro e affidabile a ridosso degli Stati ancora sotto l’influenza russa. Inoltre, il buono stato delle sue finanze è un’ulteriore garanzia.
Dalla caduta del muro di Berlino, la linea invisibile che idealmente ripropone quella ben più pesante che fino al 1989 divise in due l’Europa, esiste ancora. Va da Narva, cittadina estone che lambisce i confini russi, fino a Orchówek, in Polonia, o meglio, alla frontiera con la Bielorussia di Lukashenko. Oltre millequattrocento chilometri: non è la vecchia cortina di ferro, ma ne ha l’eredità ideologica. Oggi è una linea valicabile, militarizzata solo in alcuni punti, che però divide il mondo tra chi ha buone relazioni con la Russia e chi non le ha. Occidente e oriente. NATO e non NATO.
La Polonia non è tra i primi firmatari dell’Alleanza atlantica, l’ha raggiunta dopo e nel tempo ha deciso di investirci sempre di più. È fra i pochi Paesi che versa il 2% del suo Prodotto interno lordo all’organizzazione. Ma non è solo questione di soldi, il patto militare è scelta condivisa e appoggiata dai polacchi, che tutti gli anni a Varsavia celebrano, solitamente in estate, la festa dell’Alleanza atlantica. Quest’anno era il 14 gennaio e la piazza intitolata al maresciallo Piłsudski era piena di carri armati. I soldati mostravano l’interno dei veicoli da combattimento a file di bambini pronti a salire in cima ai cingolati, ad arrampicarsi sui cannoni. Grande partecipazione, canzoni patriottiche e orgoglio.
Dalla caduta dell’Unione Sovietica, sono poche le nazioni disposte a rispettare quanto impone il patto atlantico a livello di spese per la difesa, cioè il 2% del Pil. Una soglia molto criticata e messa sempre più in discussione dopo la grande crisi dei bilanci nazionali. Non a caso, nel 2013 solo cinque Paesi hanno confermato il livello di spesa al 2%: Stati Uniti, Grecia, Regno Unito, Estonia e Polonia.
I calcoli sono stati scombinati anche da fattori geopolitici. L’annessione russa della Crimea nel 2014 ha raffreddato i rapporti con Mosca e ha fatto tornare il bisogno di NATO nei paesi baltici. Stati in cui, per la prima volta, sono comparse truppe non appartenenti agli eserciti nazionali. Così, truppe americane e inglesi per due giorni si sono esercitate lungo il confine tra Polonia e Lituania, simulando un’avanzata russa sulle frontiere del nord est dell’Europa.
I polacchi hanno preteso delle truppe alleate a protezione del corridoio di Suwałki, zona vulnerabile a un’eventuale aggressione russa. Per la simulazione un battaglione USA si è posizionato a Orzysz, nell’Est del Paese, per fronteggiare le esercitazioni che forse Mosca porterà avanti in Russia e Bielorussia con l’operazione “Zapad”. Mille truppe che, si presume, potrebbero attaccare proprio il corridoio di Suwałki.
Prove di guerra che inorgogliscono la nazione polacca e la sua appartenenza, quella all’alleanza atlantica.
Foto: Alessandro Berrettoni