L’elezione alla presidenza francese da parte di Emmanuel Macron ha certo fatto tirare un sospiro di sollievo a chi, negli anni, si è fatto portatore di una più stretta integrazione in seno all’Unione Europea.
Lo stesso, tuttavia, non si è potuto dire per paesi come Polonia e Ungheria, il cui peso politico, animato da un forte euroscetticismo, potrebbe ora risultare irrimediabilmente ridimensionato.
La Polonia, ad esempio, è stata la più esplicita fra i paesi dell’Europa centro-orientale a denunciare la possibilità che la ritrovata cooperazione fra gli stati dell’area occidentale rischierebbe di erodere il mercato unico europeo, fino a ridurre il sostegno economico verso i paesi dell’area mitteleuropea.
L’ascesa di Macron e il suo aperto sostegno al disegno europeo a “più velocità”, idea cui si è spesso fatto riferimento dal concretizzarsi dello scenario tracciato dal caso Brexit fino alla recente Conferenza di Roma, ha generato diverse preoccupazioni, a Budapest come a Varsavia, e cioè che possa avverarsi il timore d’un cerchio politico-decisionale ristretto, totalmente sbilanciato verso ovest.
Polonia, Ungheria e social dumping
Sottolineando proprio questi timori, diversi analisti e politici polacchi hanno accusato il neo-presidente francese di violare lo spirito del mercato unico europeo spingendo sul pedale delle riforme in tema di mobilità dei lavoratori.
Al riguardo, la campagna elettorale francese, fra i temi affrontati, si è concentrata in parte sulla decisione da parte di Whirlpool, azienda leader nel campo degli elettrodomestici, di spostare una propria filiale produttiva dalla Francia in Polonia.
Mentre il candidato del Front National, Marine Le Pen, si è detto favorevole alla nazionalizzazione dell’impianto, Macron, ardente sostenitore della globalizzazione e dell’integrazione europea, si è smarcato da una simile posizione.
Tuttavia, sempre Macron ha puntato il dito proprio contro Varsavia, accusandola di sfruttare le differenze nel costo del lavoro per attrarre investimenti, alludendo al problema del social dumping, fra gli argomenti più sentiti dall’opinione pubblica d’oltralpe, e alla necessità di contrastarlo con ogni strumenti disponibile.
Con social dumping si indica l’operato di quelle aziende che investono in paesi in cui il costo del lavoro è più basso e le regolamentazioni in materia meno stringenti al fine di massimizzare i profitti.
Pronta è arrivata la risposta del Ministro delle Finanze polacco, Mateusz Morawiecki, il quale ha parlato di «discriminazione» e di violazione del principio del mercato unico.
«Non è possibile», ha continuato Morawiecki, «che quando si tratta di esportare, la Polonia sia considerata un ottimo mercato […] mentre quando è la Polonia ad attrarre investimenti, fra cui quelli francesi, allora ciò non vada bene».
Anche l’Ungheria pare oggi attraversata dai medesimi timori.
Hendrik Hansen, direttore del Dipartimento di Politiche Internazionali ed Europee all’Università Andrassy di Budapest, ha recentemente affermato che «l’idea di un’Europa a più velocità è divenuta ora più vicina e con Macron l’asse franco-tedesco, inteso come motore propulsore dell’intera UE, è d’un tratto divenuto più importante».
Fine dei finanziamenti?
Il progetto ideato da Macron per la realizzazione d’un unico budget europeo e un unico ministro delle finanze – sebbene recepita con scetticismo da Berlino – ha suscitato paure in tutto il blocco orientale, per il timore che questo possa significare la fine dei fondi elargiti da Bruxelles per una più rapida integrazione.
La Polonia, ad esempio, è la più grande beneficiaria di fondi comunitari, con la bellezza di 77.6 miliardi di euro in arrivo fra il 2014 e il 2020, al fine di potenziare la rete infrastrutturale e implementare proprio la competitività economica.
Tuttavia, le rassicurazioni non bastano e per Szabolcs Takacs, Segretario di Stato ungherese agli affari europei, «la realizzazione d’una Europa ha più velocità significherà il tracollo dell’Unione Europea tutta».
Foto: TPI