Quando in Turchia lo spoglio delle schede del referendum costituzionale è prossimo al termine, il Sì resta in testa con oltre il 51% delle preferenze. Dei circa 58 milioni di turchi chiamati alle urne circa l’86% si è recato a votare. L’esito del referendum con il quale è stato chiesto ai cittadini turchi di esprimersi in merito ai 18 emendamenti costituzionali fortemente voluti dal Presidente sembra avere un unico grande vincitore, nonostante il lieve scarto: Erdoğan stesso.
Il fronte del No vince nelle metropoli e denuncia brogli e irregolarità
Il risultato ad Ankara, Istanbul e Smirne, oltre che sulla costa dell’Egeo e nel sud-est curdo è in controtendenza rispetto al resto del paese e vede il No vittorioso. Questo dato, insieme al risultato complessivo del referendum che vede prevalere il Sì, ma solo di misura, ha portato alcuni esponenti del partito di Governo AKP, tra i quali il vice primo ministro Veysi Kaynak, ad esprimere un certo malcontento ed allo stesso tempo ha spinto i i due maggiori partiti di opposizione CHP e HDP a chiedere il riconteggio.
La giornata elettorale ha visto infatti anche aspre contestazioni procedurali: la Commissione elettorale suprema (YSK), a seggi ancora aperti, ha comunicato che le schede elettorali non timbrate avrebbero dovuto essere considerate valide fino a che non ne fosse provata l’irregolarità, andando contro ad ogni precedente decisione in merito – oltre che al testo di legge – e facendo insorgere le opposizioni, che ora denunciano da 1,5 a 2,5 di milioni di voti non validi conteggiati. Le stesse opposizioni hanno denunciato brogli e sui social media non mancano video che mostrano varie irregolarità. Sarà importante, per tutte queste questioni, aspettare i risultati officiali della stessa YSK, oltre che i rapporti degli osservatori elettorali OSCE.
E non si può certamente dire che la giornata sia trascorsa tranquilla. Poche ore prima dell’apertura dei seggi un poliziotto è stato ucciso ed un altro ferito nella provincia di Van, nel sud-est del Paese. La colpa è stata immediatamente affibbiata a militanti curdi, alcuni dei quali sono stati subito arrestati. Mentre nella provincia di Diyarbakir, sempre nel sud-est, si è verificata una sparatoria all’esterno di un seggio con un bollettino finale di due morti ed un ferito ed una dinamica ancora da chiarire.
Una campagna elettorale a senso unico
Dopo circa dieci mesi di stato d’emergenza dichiarato dopo il tentato colpo di stato del 15 luglio 2016 non era difficile prevedere che la campagna elettorale del referendum non sarebbe stata equilibrata. Il No è stato spesso paragonato, anche dallo stesso Erdoğan, come un assist ai terroristi, fossero essi del PKK, dell’ISIS o della rete del presunto ispiratore del tentato colpo di stato, Fetullah Gülen.
L’apparato statale, epurato ormai di moltissimi elementi ed integrato di persone fedeli al partito di Governo ed al presidente, ha parteggiato in modo chiaro per il Sì, a partire dai vertici dello Stato fino ai gradi più bassi dell’amministrazione pubblica. I media filogovernativi si sono mobilitati ed hanno lasciato poco spazio alle voci contrarie, timide anche per paura di ripercussioni.
Ciò è stato sottolineato dal rapporto preliminare della Missione di osservazione elettorale dell’OSCE, che ha anche sollevato i dubbi in merito alla detenzione di numerosi esponenti delle opposizioni, oltre all’intervento da parte delle forze dell’ordine durante varie manifestazioni a favore del No e di numerosi attacchi documentati, oltre 200, contro esponenti dei comitati contrari agli emendamenti.
Cosa cambia?
Se il risultato sarà definitivamente confermato la Turchia diventerà una repubblica presidenziale. Il primo ministro verrà eliminato ed il presidente, a capo dell’esecutivo oltre che del proprio partito, avrà ampio potere difficilmente controbilanciato: potrà sciogliere il parlamento, designerà i membri del governo e di molte cariche pubbliche senza l’approvazione del parlamento, avrà maggiori poteri nella nomina dei giudici, non potrà essere chiamato a rispondere delle sue decisioni, potrà dichiarare lo stato d’emergenza. Non da ultimo la riforma potrebbe permettere ad Erdoğan di rimanere in carica sino al 2029. Un impianto costituzionale che era stato aspramente contestato dalla Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa, che lo aveva definito una “minaccia per la democrazia” per via dei “pericoli di degenerazione in un regime autoritario e personale”. Quello di Recep Tayyip Erdoğan.