di Chiara Bastreghi e Irene Vlad
Risale allo scorso 21 gennaio la votazione del parlamento turco che, con 339 sì e 142 no, rende la riforma costituzionale che punta al presidenzialismo una possibilità per la Repubblica di Turchia. Adesso starà al popolo, con un referendum, la decisione finale: ma in uno stato fortemente polarizzato, dove l’AKP sta già confermando la sua posizione attraverso misure al limite della legalità, il fronte del “no” avrà spazio per esprimere la sua voce?
Una votazione difficile per il Parlamento
Ci sono volute tre settimane di intenso dibattito affinché gli emendamenti alla costituzione (contenuti in un pacchetto di 18 articoli) venissero approvati. Non sono mancati momenti di tensione fra maggioranza e opposizione, come la rissa scoppiata in parlamento dopo che Aylin Nazliaka, una deputata indipendente, si è incatenata al microfono in segno di protesta. Come all’interno, così all’esterno del parlamento si sono verificati scontri e proteste da parte dei rappresentanti di un centinaio di ong, riunitisi per esprimere il loro dissenso sul presidenzialismo “stile Erdoğan” e prontamente respinti con idranti e cariche da parte della polizia. Il primo ministro Binali Yıldırım ha espresso soddisfazione per la decisione e per il sostegno (necessario) espresso dal partito MHP (Partito del Movimento Nazionalista): “Il partito è rimasto compatto come una roccia, abbiamo fatto il nostro, ora la parola passa al popolo”, è stato il suo commento, che evidentemente non teneva conto di quella parte di popolo riunitosi per protestare.
Al popolo l’ultima parola: sarà possibile?
L’istituto di ricerca Gezici, citato dal quotidiano Cumhuriyet, ha svolto recentemente un sondaggio, dal quale pare che se si fosse andati alle urne i giorni successivi alla decisione del parlamento il 58% dei turchi si sarebbe espresso contro la riforma, contro un 42% favorevole. Tuttavia dallo stesso sondaggio si evince che 3 cittadini su 4 non sono tuttora a conoscenza dell’esatta portata di questa riforma, che tra le tante modifiche reintrodurrebbe anche la leva di massa. Adesso l’AKP metterà in moto la sua campagna elettorale a favore del sì, fatta di comizi e incontri nelle piazze in vista del referendum in programma per il 16 aprile, e la prospettiva è che riuscirà ad accaparrarsi una buona fetta di quei cittadini poco informati che rappresentano la maggioranza di cui Erdoğan ha bisogno.
Fratture e opposizioni
La riforma costituzionale che sarà sottoposta a voto referendario è stata formulata esclusivamente dall’AKP, senza che la redazione del testo venisse mai dibattuta pubblicamente. Unica voce parallela, seppur accomodante, è stata quella dell’MHP, che in maniera inaspettata si è schierato a favore della riforma ottenendo di partecipare alla stesura del testo. Il sostegno dell’MHP all’impresa del ‘sultano’ ha però colto di sorpresa la base del Partito Nazionalista, tradizionalmente critica nei confronti di Erdoğan e scettica riguardo ad una riforma in senso presidenzialista. L’inaspettato sostegno ha fatto sì che il partito si alienasse una fetta sostanziale del suo elettorato, come evidenziato da diversi sondaggi. La riforma viene quindi contestata non solo dai partiti tradizionalmente all’opposizione, CHP e HDP, ma anche all’interno del blocco che la sostiene. Lo stesso AKP è un partito meno omogeneo di quanto si pensi: secondo alcuni sondaggi, infatti, il 20% del suo elettorato si dichiara contrario alla riforma.
Un referendum che costerà caro alla Turchia
I motivi alla base di tale sfiducia sembrano risiedere nella figura stessa di Erdoğan, sempre più ingombrante e caratterizzata da tendenze autocratiche. Alla luce delle repressioni seguite al fallito colpo di stato, la riforma appare all’opposizione l’apice di un capillare processo di repressione in corso da tempo. Nell’eventualità che il sì vinca, la rinnovata e più forte stretta sulle opposizioni di Erdoğan gli consentirebbe di reprimere ulteriormente quei partiti che lo contrastano in Parlamento, il CHP e l’HDP. Il referendum rappresenta dunque l’ennesima fonte di frattura all’interno della società turca, ma anche un potenziale catalizzatore a livello istituzionale. Oltre alla stretta sulle opposizioni e al controllo sulle autorità giudiziarie, la riforma potrebbe infatti stravolgere l’omogeneità di alcuni partiti o condurre a nuove alleanze tra questi. Qualora l’MHP formasse un’alleanza di governo con l’AKP, ad esempio, si potrebbe verificare una radicale spaccatura al suo interno. Nel clima di crescente paranoia e confusione che paralizza la Turchia, solo il risultato del referendum sarà in grado di stabilire con certezza le sorti della (ex?) repubblica kemalista.