Transnistria: parabola di convivenza nel documentario di Steffi Wurster

Oleg fissa la telecamera, come posasse per un ritratto. Voleva diventare insegnante di letteratura russa, ora invece indossa una mimetica. La scena cambia, un piccolo gruppo di uomini e donne raccoglie le foglie secche e tiene pulito il bordo strada, nella speranza di rendere il luogo più attraente per possibili posti di lavoro. È attraverso le parole dirette dei protagonisti, ma soprattutto tramite la loro presenza nello spazio, che l’artista e scenografa Steffi Wurster racconta nel suo ultimo lavoro Posto di guardia N. 6, la vita nel piccolo villaggio di Molovata Noua, lungo le rive del fiume Nistro, in Transnistria.

Tre schermi fanno scorrere in contemporanea immagini diverse, frammenti che si sovrappongono e completano, alternando la prospettiva tra popolazione civile e soldati. Nella sua installazione presso il project space Uqbar a Berlino, in mostra fino al 12 marzo, un modello in scala riproduce l’area principale in cui hanno avuto luogo le riprese, mentre del nastro adesivo nero disegna sul pavimento l’angusto intreccio dei confini. Lo spettatore si ritrova fisicamente, seppur virtualmente, catapultato in questo spazio bizzarro tra due posti di blocco.

Con poco meno di 1.900 abitanti, Molovata Noua è una zona cuscinetto tra il piccolo stato de facto e la Moldavia. La baracca N. 6, che dà appunto il titolo al documentario, diventa la piccola caserma che ospita la missione di peacekeeping dell’OSCE, formata da soldati russi, moldavi e della repubblica indipendentista. Li vediamo durante i controlli alla frontiera, fare il piantone sotto il sole, pranzare sul tavolo con la tovaglia cerata a fiori, leggere o dormire nei loro letti a castello.

Contattata personalmente, Steffi Wurster ripercorre per East Journal le tappe che hanno portato alla realizzazione del progetto.

Com’è nata l’idea di questo progetto?

Tutto nasce dalla crisi in Ucraina orientale, probabilmente un lungo “conflitto congelato”. Volevo farmi io stessa un’idea di una tale regione lacerata, a prescindere dalle notizie attuali riportate dai media. Cosa passa per la testa delle rispettive popolazioni, come funziona la strumentalizzazione di un conflitto (dall’esterno presunto così prevedibile) da parte delle potenze coinvolte? Dopo aver letto un articolo sullo Spiegel sulla missione di peacekeeping trilaterale nella zona di sicurezza tra Moldavia e Transnistria, mi è sembrata una situazione modello: i tre diversi schieramenti sotto lo stesso tetto. Così come le comunità di abitanti del luogo che vivono in pace tra loro e vanno d’accordo. Il microcosmo del posto di guardia mi è parso una sorta di parabola della buona (e inevitabile) convivenza pacifica degli uomini. Così mi sono messa in viaggio verso la regione, con una domanda di fondo: dove risiede oggi in realtà il conflitto irrisolto e chi lo mantiene in vita, laddove nella quotidianità delle diverse comunità nella zona divisa non v’è traccia di odio?

Qual’è stata la reazione delle persone del luogo, militari così come civili? Come li hai convinti a far parte del documentario?

Da parte degli abitanti la paura e la diffidenza erano percepibili. Il bisogno di classificarmi – vengo dall’est o dall’ovest? -, e di definire da quale parte sto, ha giocato sempre un ruolo importante. Si ha anche paura di dire qualcosa di sbagliato, visto che persone dei servizi segreti delle rispettive fazioni sono onnipresenti. Probabilmente non solo la mia sincera neutralità ma anche la mia curiosità e interesse riguardo la vita delle persone del luogo, alla situazione politica esistente nella zona di sicurezza, hanno convinto le persone. Non ero né alla ricerca di storie estreme, forti, né mi interessava confermare immagini prefabbricate. E penso che questo si percepisca nel documentario.

Che tipo di difficoltà hai incontrato in fase di preparazione e in loco? Le prime cose che possono venire alla mente sono visto d’ingresso…

Per le riprese del film ho avuto bisogno del permesso di tutte e tre le forze coinvolte, che all’interno di una commissione di controllo congiunta decidono della missione di peacekeeping. Facile immaginare la complessità della cosa. Tuttavia, la dimostrazione della mia neutralità è stata abbastanza convincente. La presenza di una guida locale sul posto ha semplificato notevolmente la situazione con le autorità a Tiraspol. Infatti, oltre al permesso da parte della commissione avevo bisogno di un accreditamento dalla Transnistria. Al valico di frontiera c’era da innervosirsi, visto che l’accreditamento si prende a Tiraspol. Ogni volta sembrava una scenetta comica: telefonate interminabili tra diverse stazioni, come se i miei ingressi avvenissero per la prima volta. Anche se il tutto ha richiesto uno sforzo immenso, tutte le persone con cui ho avuto a che fare sono state gentili e non ho mai avuto grossi problemi.

...e censura.

Ovviamente il tema censura è stato presente. Dovevo presentare ogni volta alla commissione di controllo congiunta un piano dettagliato delle riprese per i soldati, comprese le domande delle interviste. Un colonnello russo sul posto mi ha poi detto quali scene e quali domande erano permesse. Di regola un terzo è stato scartato.

Dopo “Posto di guardia N. 6” e “Constructing Sochi(vincitore nel 2014 del 41esimo Ekotopfilm – festival internazionale dei film sullo sviluppo sostenibile, Bratislava, n.d.r.) sul processo di appropriazione della terra e di rapidissima modernizzazione nella baia di Imeretinskaya, hai in programma altri progetti analoghi per tema e area geografica?

Anch’io sono curiosa di sapere dove mi condurrà la vita per il prossimo progetto, sicuramente mi muoverò di nuovo in direzione Europa orientale. Ma ancora non lo so.

Foto: © Steffi Wurster

Chi è Francesca La Vigna

Dopo la laurea in Cooperazione e Sviluppo presso La Sapienza di Roma emigra a Berlino nel 2009. Si occupa per anni di progettazione in ambito culturale e di formazione, e scopre il fascino dell'Europa centro-orientale. Da sempre appassionata di arte, si rimette sui libri e nel 2017 ottiene un master in Management della Cultura dall'Università Viadrina di Francoforte (Oder). Per East Journal scrive di argomenti culturali a tutto tondo.

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