Il nazional-comunismo è un ibrido che amalgama socialismo rivoluzionario e orgoglio patrio. Un modello che ha avuto successo, ad esempio, nella Romania di Ceauşescu, ma anche nel Vietnam post-bellico o nella Cina. Si tratta tuttavia di un ibrido a cui, inconsapevolmente, anche Karl Marx contribuì.
Nel 1956 la condanna delle atrocità staliniane da parte del nuovo leader sovietico Nikita Chruščёv provocò un terremoto nel blocco orientale; i disordini polacchi e, soprattutto, ungheresi, ne rappresentarono il più palese effetto. In Romania, il leader del partito comunista Gheorghe Gheorghiu-Dej, capì la necessità di un cambio di direzione. L’intera impalcatura comunista non poteva più basarsi sul terrore: c’era bisogno di fondamenta più solide e, soprattutto, maggiormente condivise dalla popolazione.
Lo stravolgimento della politica culturale fece parte di questo più ampio progetto di riposizionamento politico. Fino a quel momento, il regime aveva promosso una visione della storia romena perfettamente in linea con i valori socialisti. Ne citiamo qui alcuni principi cardine:
- Lotta di classe come unico motore della storia
- Ripudio delle battaglie nazionali (unione dei principati danubiani, annessione delle terre abitate in prevalenza da romeni), che avrebbero favorito soltanto la borghesia imperialista
- Influenza positiva della Russia sulla storia romena
- Ridimensionamento del ruolo delle Chiesa Ortodossa
Quanto accennato trovava suprema sintesi nel nuovo manuale unico di storia per le scuole, la cui redazione è legata al famigerato «dittatore della storiografia romena», Mihai Roller. Attivista di partito, più volte arrestato negli anni ’30, nel 1940 si trasferisce a Mosca, dove entra in stretto contatto con Ana Pauker e inizia a studiare storia presso la locale università. Tornato in Romania, inizia la carriera nei ranghi del partito, e nel 1949 viene nominato direttore della Commissione per la redazione dei manuali scolastici, che furono basati soprattutto su traduzioni di testi russi.
Anche Roller fu tuttavia vittima della destalinizzazione; a metà degli anni ’50 fu denunciato di plagio da altri membri del partito; Gheorghiu Dej lo accusò dello stato pietoso in cui versava la storiografia romena. Attaccando Roller, Dej puntava a rottamare la storia “socialista”, in vista di una nuova narrazione che desse più risalto all’elemento nazionale, e avvicinasse la popolazione e almeno una parte dell’intellighenzia alla classe dirigente. In questo suo progetto, Dej trovò un alleato inaspettato nel padre del comunismo mondiale, Karl Marx, che gli servì sul piatto d’argento un pretesto per smarcarsi dall’ingombrante “tutela” sovietica. Proprio in quegli anni lo storico polacco Stanisław Schwann aveva trovato negli archivi di Amsterdam dei manoscritti del filosofo di Treviri, in cui questi addebitava lo stato di arretratezza della Romania ottocentesca all’imperialismo russo. Negli stessi manoscritti Marx riconosceva i diritti romeni sulla Transilvania e condannava la cessione all’impero russo della Bessarabia nel 1812.
Come scrive lo storico Alberto Basciani, «per Gheorghe Georghiu-Dej e poi ancor più per il suo successore Nicolae Ceauşescu, c’era materia sufficiente per erigere una struttura ideologica che rendesse compatibile il comunismo con i sentimenti antirussi del popolo romeno».
I manoscritti di Marx vennero pubblicati nel 1964 sotto l’egida dell’Accademia romena, con il titolo di Însemnări despre români (Note sui romeni). Non è un caso che a quello stesso anno risalga la famosa “dichiarazione di indipendenza”, il documento presentato da Dej alla plenaria del partito, con il quale questi ribadì la piena sovranità e indipendenza della classe dirigente romena nella conduzione del paese.
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