SIRIA: Assad riconquista Aleppo

Aleppo è caduta, la guerra continua. L’esercito di Assad ha riconquistato quasi tutti i quartieri occupati dai ribelli e da decine di migliaia di civili. Un cessate il fuoco siglato tra Russia e ribelli il 13 dicembre, se sarà rispettato, ha forse messo la parola fine a una battaglia che durava dal 19 luglio del 2012. I ribelli che restano saranno evacuati verso Idlib, come in tutte le guerre i civili hanno pagato il prezzo di sangue più alto. Sulla seconda città della Siria adesso sventola soltanto la bandiera a due stelle del regime. E si parla iraniano, russo, persino afghano ad Aleppo. Sono gli alleati di un regime che sostiene di aver ripulito la città dai “terroristi”, che “sono stati mandati dall’estero”.

“Terroristi”

È bene ricordare chi sarebbero, secondo Assad, i “terroristi”. La propaganda del regime chiama così (giustamente) i miliziani dell’Isis, che però ad Aleppo non ci sono proprio. Per Damasco sono terroristi (giustamente) quelli di al-Qaeda, che si chiamavano al-Nusra e ora Jabat Fatah al-Sham, insieme ad altre formazioni più piccole. Loro ad Aleppo sono di stanza da tempo, come in molte altre parti della Siria.

Ma come ci sono arrivati, e perché? Molti dei leader di questi gruppi erano chiusi nelle prigioni siriane fino al 2011. La porta della cella l’ha spalancata Assad di proposito 5 anni fa: mescolando jihadisti alle proteste di piazza poteva criminalizzare tutte le opposizioni, anche quelle pacifiche che chiedevano diritti e dignità durante le manifestazioni dei primi mesi e che con i jihadisti non hanno mai avuto nulla a che fare. Tutto il popolo siriano che non sta con Assad è oggi, per il regime, “terrorista”.

Il male minore?

La strategia ha funzionato. Le manifestazioni – su cui Assad non ha esitato ad aprire il fuoco – hanno lasciato il posto alle armi. La rivolta si è trasformata in una sorta di guerra civile. Il regime, che storicamente fa perno sulle minoranze, ha paventato una rivolta dei “sunniti” (l’80% della popolazione) cambiando etichetta alla guerra ancora una volta, che è diventata uno “scontro settario”.

L’altro scopo era presentarsi come il male minore. Inserirsi a suo modo nella guerra globale al terrorismo – qualunque cosa significhi – e rendersi necessario. Il problema di questo punto di vista, che sta prendendo sempre più piede, è che dimentica l’essenziale. Vale a dire che la Siria sono milioni di siriani, e non quel po’ di decine di migliaia di miliziani e soldati che la tengono in ostaggio da anni. Sono questi ultimi che hanno ammazzato e commesso atrocità, tutti, nessuno vuole né può negarlo.

Il dibattito ha preso una piega tragicomica quando, per salvare il salvabile, i paesi occidentali hanno cercato col lanternino i cosiddetti “ribelli moderati”. Era il 2015, troppo tardi. Gli unici veri “moderati” sono quelli che non hanno imbracciato le armi, sono morti sotto le bombe o sono riusciti a lasciare il paese.

L’altra Siria

Tutto questo dovrebbe tornarci alla mente oggi che Aleppo è caduta. La guerra continuerà, perché la guerra di Assad è contro il suo stesso popolo. Avrà la forma di guerra vera e propria per qualche tempo ancora, poi le armi taceranno. E Assad o chi per lui riprenderà da dove era stato interrotto: violazioni dei diritti più elementari, repressione di ogni dissenso, corruzione, clientelismo, tortura.

Sotto le macerie di Aleppo restano la diplomazia, il ruolo dei media e le aspirazioni dei siriani. L’Europa, mentre russi e regime martoriavano Aleppo in un assedio senza precedenti dalla seconda guerra mondiale, non è riuscita nemmeno a imporre qualche sanzione. Gli Usa hanno concordato una tregua con i russi, che è finita prima di iniziare quando i missili (russi o del regime poco importa) hanno centrato, di proposito, un convoglio umanitario. Nei giorni finali dell’assedio a Washington è arrivato l’ennesimo niet del Cremlino.

L’assedio di Aleppo è stato uno dei conflitti più “raccontati” della storia. Sui social i siriani stessi hanno documentato giorno dopo giorno cosa stava succedendo. È servito a poco, forse a nulla. Non ci sono state iniziative di massa dall’altra parte dello schermo. La speranza è che questo oceano di dati e informazioni diventino documenti e prove, da usare in un’aula di tribunale e non soltanto nei libri di storia.

Sotto le macerie di Aleppo resta sepolta un’altra Siria, che oggi nessuno ricorda più. Quella delle manifestazioni, dei comitati di attivisti che sono nati fin da subito in tutto il paese per organizzare le proteste, sull’onda della richiesta di diritti e dignità. Quella dei consigli locali, spazi di democrazia e autogoverno che hanno continuato a esistere per anni, anche in mezzo al conflitto. Un conflitto che ha spezzato sul nascere questi tentativi e poi ha sprofondato la Siria in un inferno, di cui la caduta di Aleppo non è ancora la fine.

Chi è Lorenzo Marinone

Giornalista, è stato analista Medio Oriente e Nord Africa al Centro Studi Internazionali. Master in Peacekeeping and Security Studies a RomaTre. Per East Journal scrive di movimenti politici di estrema destra.

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