ROMANIA: La scrittura della storia e le pesanti eredità del comunismo

Analizzando il dibattito storiografico della Romania post-comunista, emerge chiaramente come il paese risenta ancora degli anni del regime. Durissima è stata (ed è) la contrapposizione tra gli esponenti della vecchia scuola storiografica formatasi durante il comunismo, e una nuova generazione di storici “innovatori”, che hanno cercato di imporre una metodologia nuova e un’interpretazione alternativa della storia.

Lo scontro ha raggiunto l’apice con la pubblicazione del libro di Lucian Boia (professore di storia della storiografia presso l’Università di Bucarest) Istorie și mit în conștiința românească (Humanitas, Bucarest, 1997, 412 pp.), concepito con l’intento di dimostrare come l’interpretazione dei fatti principali della storia romena sia stata influenzata, se non addirittura stravolta, dai fini politici e ideologici delle classi dirigenti succedutesi nel tempo alla guida del paese; un’abitudine nata ben prima del comunismo, che affonda le sue radici nel XIX secolo, quando il processo di indipendenza richiese la creazione di miti fondativi su cui basare la costruzione del nuovo Stato.

E’ il caso, ad esempio, di Mihai Viteazul, il condottiero che all’inizio del ‘600 riuscì ad unire per breve tempo Transilvania, Valacchia e Moldavia, diventato nella vulgata otto-novecentesca il fondatore ante litteram della Romania contemporanea, non aspirava assolutamente, sostiene Boia, alla creazione di un’entità statale romena unitaria. Fu la generazione di rivoluzionari del 1848, e in particolare lo storico Nicolae Bălcescu, a cogliere il potenziale evocativo di una figura come quella di Mihai, rendendolo pertanto un antesignano della romenità.
Ammettere l’esistenza dell’uso (e abuso) pubblico della storia, di cui in Occidente si discute ormai da anni, ha suscitato un asprissimo dibattito in Romania; Boia è stato accusato da eminenti storici di essere portatore di idee antinazionali, volte esclusivamente a screditare il paese.

Ai giovani studenti di storia della Romania socialista veniva insegnato come la secolare lotta per l’indipendenza dei romeni fosse stata portata a compimento dal Partito Comunista, realizzatore ultimo delle aspirazioni nazionali. Un’idea che rispecchiava perfettamente l’ideologia di Ceauşescu, tendente a declinare il marxismo in chiave nazionalista. Egli amava infatti dipingersi come il naturale continuatore dei grandi condottieri medievali romeni, da Vlad Țepeș allo stesso Mihai Viteazul.

Inoltre, l’idea che esista un’unica verità storica, anch’essa tipica della storiografia romena pre-marxista e ripresa dal comunismo, è stata esacerbata dal “ceauşismo”. Il crollo del regime non è riuscito a imporre la pluralità delle interpretazioni storiografiche, né a sradicare il nazionalismo dilagante nelle facoltà universitarie.

Non sorprende pertanto l’ostracismo nei confronti di chi sostiene l’impossibilità di raggiungere la piena conoscenza della storia; per Boia lo storico non è infatti colui il quale conosce il passato così come esso realmente si svolse, ma chi attribuisce ordine e significato a fatti di per sé vuoti. Una visione che desacralizza la figura del professionista della storia, abituato durante il regime ad essere uno dei portavoce privilegiati dell’ideologia ufficiale.

Ancora oggi, a distanza di quasi vent’anni dalla prima edizione di Istorie și mit, Boia continua ad essere violentemente attaccato. Il suo più veemente critico è Ioan Aurel Pop, storico medievista e rettore dell’Università Babeș-Bolyai di Cluj. Sebbene figura dalle spiccate doti intellettuali e retoriche, con numerosi soggiorni di studio in America, Pop incarna ancora l’ideale dello storico nazionalista e conservatore, difensore dell’unica verità storica, che impedisce alla Romania di aprirsi definitivamente alle innovazioni storiografiche occidentali.

Fonte immagine: Adevarul

Chi è Francesco Magno

Ha conseguito un dottorato di ricerca in storia dell'Europa orientale presso l'università di Trento. E' stato assegnista di ricerca presso la medesima università. Attualmente insegna storia dell'Europa orientale presso l'università di Messina. Si occupa principalmente di storia del sud-est europeo, con un focus specifico su Romania, Moldavia e Bulgaria.

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