Lo scorso ottobre un’operazione congiunta della polizia ceca e dell’ FBI ha portato all’arresto di un hacker russo a Praga. Il fermo è stato autorizzato dall’Interpol circa 12 ore dopo l’arrivo di Yevgenyi N., questo il nome dell’hacker, nel Paese.
Risalgono proprio a quel periodo le accuse di Obama verso la Russia, coinvolta nell’hackeraggio ai danni del Partito Democratico e dell’allora candidata presidente Hillary Clinton. Nonostante le coincidenze temporali gli statunitensi hanno smentito un coinvolgimento dell’uomo arrestato a Praga nel caso in questione; allo stesso modo non sembrerebbe un affiliato di WIKILeaks. Pare che invece il sospettato fosse ricercato dagli Stati Uniti dal 2012, come complice dell’hackeraggio a LinkedIN che ha compromesso i dati di circa 6.5 milioni di utenti.
In ogni caso il ventinovenne Yevgenyi rimane in custodia finché il tribunale non deciderà se, quando e soprattutto dove estradarlo. Sia Stati Uniti che Russia hanno due mesi di tempo per consegnare la documentazione necessaria all’estradizione ed entrambi si stanno muovendo in tal senso. I russi comunque ad arresto appena avvenuto hanno dichiarato, tramite un portavoce dell’ambasciata a Praga, che un rilascio e un rimpatrio dell’hacker sarebbero stati preferibili. La decisione finale comunque, quella politica, spetta al Ministro della Giustizia ceco. Per il momento l’ago della bilancia sembra comunque pendere verso le richieste di Washington viste le posizioni filo-transatlantiche del ministro in questione, Robert Pelikan.
Jakub Janda, Capo del progetto Kremlin Watch e direttore del think tank ceco European Values sostiene che il Cremlino reputi Praga un luogo sicuro per lo spionaggio russo: prima di tutto per il gran numero di impiegati dell’ambasciata russa (circa 120) operanti sul territorio; secondo poi il fatto che la Russia non abbia mai dichiarato lo status dei suoi servizi d’intelligence in Repubblica Ceca rende la faccenda ancora più sospetta.
Se infatti l’agenzia di controspionaggio svedese afferma che circa un terzo dello staff diplomatico russo fa parte dell’intelligence, è facile pensare che a Praga siano circa 40 i membri dell’ambasciata che si occupino anche di spionaggio. Il sito del Servizio Informativo di Sicurezza ceco indica dettagliatamente gli scopi di questi agenti: disinformazione, alimentare la diffidenza verso lo status quo accrescendo l’interesse verso organizzazioni estremiste e populiste e cercare di screditare le istituzioni europee e la NATO. Il tutto è confermato dalle dichiarazioni del Ministro degli interni ceco, Milan Chovanec che a fine ottobre ha denunciato una “guerra d’informazioni” messa in atto su suolo boemo dall’intelligence russa.
Per questo quindi secondo Janda, la collaborazione tra FBI e polizia ceca rappresenta una presa di coscienza da parte del governo di Praga, e la volontà di reagire alla potenziale minaccia cibernetica russa. L’esecutivo boemo infatti ha lanciato un Accertamento di Sicurezza Nazionale volto a verificare e valutare il livello di sicurezza del Paese, e la sua velocità di reazione alle minacce attuali. Parte della ricerca saranno anche l’ “influenza delle potenze straniere” e le “minacce ibride”.
Quindi se da una parte abbiamo l’atteggiamento dell’esecutivo, volto, ufficialmente e non, a sfavorire l’influenza russa, dall’altra c’è il Presidente Zeman che non ha mai nascosto le sue simpatie verso la Russia, definendo più volte la sanzioni europee controproducenti e arrivando a negare la presenza di truppe Russe in Ucraina. Tra questi due poli c’è l’opinione pubblica, che anche a causa delle divergenze tra esecutivo e Presidente, cade facilmente nella trappola della disinformazione e del populismo più becero; cosa che potrebbe nuocere sia al filo-russo Zeman, sia all’esecutivo dalle tendenze transatlantiche.
Questo articolo è frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association. Le analisi dell’autrice sono pubblicate anche su PECOB, Università di Bologna.