Accademia serba delle arti e delle scienze

STORIA: Il memorandum dell’Accademia serba delle scienze e delle arti

Trent’anni fa, alla fine del settembre 1986, il quotidiano belgradese Večernje Novosti usciva con un breve articolo che parlava di un memorandum prodotto da 16 intellettuali della SANU, l’accademia serba delle arti e delle scienze. In realtà il documento, sia pure in bozza, era stato iniziato l’anno prima, ma nulla era trapelato. Fino appunto all’articolo – intitolato L’offerta della disperazione – che ne rese pubblica l’esistenza, suscitando subito una ondata di critiche e di prese di distanza. Il memorandum, composto di due parti (la prima sulla frammentazione del paese a causa della Costituzione del ’74, la seconda sullo status “indebolito” della Serbia nella Jugoslavia) dovette attendere l’89 per essere integralmente pubblicato, per di più a Zagabria. Eppure quel documento è stato comunemente (e sbrigativamente) ritenuto la giustificazione ideologica del montante nazionalismo panserbo e del suo regista Milošević in particolare.

In realtà le cose furono un po’ diverse. Innanzitutto i contenuti del memorandum non erano nulla di nuovo rispetto alle posizioni di alcuni noti critici del regime. Come quello del romanziere Dobrica Ćosić, che pure sembra non c’entrasse direttamente con la stesura del documento. In secondo luogo il memorandum non faceva che riprendere un malessere della società serba e jugoslava che aveva radici profonde e diffuse. Economiche e non solo. Ma, come si diceva, le reazioni ufficiali all’inizio furono decisamente negative: Milošević stesso lo definì “nient’altro che il più buio nazionalismo”.

Occorrerà aspettare la radicalizzazione del triennio 1987-1989 perché la Lega dei comunisti serba inizi ad adottare contenuti e filosofia del memorandum. In quel triennio vi furono la presa della guida del partito da parte di Milošević , la cosiddetta “rivoluzione antiburocratica”, la oceanica commemorazione a Kosovo Polje. Fu allora che la individuazione della causa del malessere serbo nella monumentale Costituzione kardeljana del 1974 trovò d’accordo gli accademici del SANU e la Lega serba ormai pienamente controllata da Milošević . La Costituzione jugoslava – si sosteneva – aveva reso la Serbia una “vittima” per due motivi. In primo luogo creando due province (Vojvodina e Kosovo) che limitavano la sovranità della repubblica serba attraverso il loro logorante potere di veto. In secondo luogo tagliando fuori molti serbi che si trovavano a vivere all’esterno della Serbia, soprattutto in Croazia. Il sospetto (o l’accusa) era che il “croato” Tito avesse voluto una Serbia debole per costruire una Jugoslavia forte, in una logica kominternista. Arrivando così a sostenere che “A nessun popolo della Jugoslavia viene negata in maniera massiccia la sua identità culturale e spirituale come al popolo serbo”.

I problemi economici che serpeggiavano già dalla fine degli anni settanta, le due province recalcitranti, un partito comunista ormai in difficoltà nel dominare una società piena di tensioni e frantumata da tanti poteri autogestiti (un “sistema anarco-stalinista” lo definì il filosofo croato Puhowski), creeranno in Serbia un cocktail esplosivo. Sarà Milošević a servirlo in nome del principio romantico herderiano per cui “la Serbia è lì dove c’è un serbo”. Ma a quel punto il memorandum, pur intellettualmente utile, risultava ormai sorpassato dai venti di guerra.

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Chi è Vittorio Filippi

Sociologo, docente Università Ca’Foscari e Università di Verona, si occupa di ricerca sociale, soprattutto nel campo della famiglia, della demografia, dei consumi. Collabora nel campo delle ricerche territoriali con la SWG di Trieste, è consulente di Unindustria Treviso e di Confcommercio. Insegna sociologia all’Università di Venezia e di Verona ed all’ISRE di Mestre. E’ autore di pubblicazioni e saggi sulla sociologia della famiglia e dei consumi.

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