Mentre il mondo aveva gli occhi puntati sui giochi olimpici di Rio de Janeiro, l’Asia Centrale si faceva egualmente protagonista di un evento legato allo sport, e non solo. Anche quest’anno il Kirghizistan ha fatto gli onori di casa ospitando dal 3 all’8 settembre sulle rive del lago Issyk Kul a Cholpon Ata la seconda edizione dei giochi mondiali dei popoli nomadi.
Progetto nato nel 2012 per volontà dello stesso presidente Almazbek Atambaev e sostenuto dai suoi omologhi kazako, turco e azero, la manifestazione ha avuto una risonanza maggiore rispetto alla prima del 2014. A circa 300 km dalla capitale Biškek, delegazioni da 40 paesi si sono sfidate in 23 discipline, tra cui la caccia con l’aquila, il tiro con l’arco a cavallo, il mas-wrestling o il kok-boru (conosciuto anche come buskashì). Quest’ultimo sport, una sorta di polo contestato per la sua violenza, vede due squadre a cavallo contendersi il controllo di una carcassa di capra decapitata. E a differenza dei giochi di Rio la Russia è stata ammessa, vincendo proprio nel kok-boru contro la squadra statunitense. Nello stesso ippodromo si è svolta inoltre la cerimonia di apertura dei giochi, dove tra danze tradizionali, acrobazie a cavallo e con il fuoco e il richiamo a Genghis Khan, ha fatto il suo ingresso in pista l’ospite d’onore della serata, l’attore Steven Seagal.
Lo scopo dei giochi non è solo quello di presentare al mondo discipline che altrimenti non troverebbero spazio in competizioni sportive e promuovere valori legati alla pace e al dialogo tra popoli, quanto piuttosto la preservazione del patrimonio culturale nomade, soprattutto dell’Asia Centrale e del Kirghizistan nello specifico nell’era della globalizzazione. A tal proposito infatti una serie di eventi collaterali ha accompagnato e arricchito la manifestazione. All’interno di quasi 300 yurte si è potuta ascoltare musica o assistere a rappresentazioni teatrali tradizionali, ci sono state sfilate con abiti per entrambi i sessi, così come una conferenza attinente prospettive future per la civiltà nomade.
Con questo spirito di rivalutazione identitaria, che fa riferimento anche alla ricerca di stili di vita alternativi sostenibili, si spiega anche l’interessante training pensato ed offerto ai volontari locali coinvolti nell’organizzazione. Stando a quanto riportato sul sito ufficiale dei giochi, ben 700 persone hanno reso possibile l’evento, inclusa la partecipazione allo spettacolo inaugurale. Oltre ai classici prerequisiti richiesti per manifestazioni di tale portata, come la conoscenza delle lingue, flessibilità e capacità di lavorare in team e sotto stress, i partecipanti hanno preso parte a corsi di formazione specifici in materia organizzativa, di sicurezza, di comunicazione, diplomazia pubblica e a sfondo storico-culturale. Insomma un bel gruppo di piccoli ambasciatori.
Chissà quali sorprese riserverà la prossima edizione e quale livello di notorietà avrà raggiunto nel frattempo la manifestazione, per ora ampiamente pubblicizzata come attrazione turistica.
Foto: Igor Kovalenko/EPA