POLONIA: La Commissione europea contro Varsavia. Per evitare nuovi Orban?

Lo scorso gennaio, la Commissione Europea ha annunciato l’avvio di una indagine preliminare per verificare se l’attuazione di una legge che permetterebbe al governo di Varsavia di nominare sia il capo della radio e della televisione pubblica, sia di scegliere i giudici membri della Corte Costituzionale polacca, possa violare gli standard democratici dell’Unione Europea. In quell’occasione, il Premier polacco Beata Szydlo negò apertamente tali accuse, sostenendo che «la democrazia in Polonia è ancora viva e sana».

Più recentemente, oltre 200.000 persone sono scese in piazza a Varsavia per manifestare contro quella che è stata definita la “svolta autocratica” del governo polacco il quale, negli ultimi mesi, ha anche provveduto all’abolizione del Consiglio antirazzismo e all’approvazione di alcuni emendamenti che garantirebbero alla polizia nazionale e ai servizi di sicurezza di accedere in modo diretto e permanente alle attività online dei cittadini polacchi.

Il timore, a Bruxelles, è che le azioni intraprese dalla Polonia possano indebolire lo stato della democrazia in Europa; al riguardo, in molti hanno addirittura proposto l’attivazione dell’articolo 7 del Trattato costitutivo dell’Unione Europea. Eppure, perché la Commissione Europea sembra oggi trattare Varsavia più duramente di quanto fatto in passato con Budapest, altro paese sotto la lente investigativa della Commissione in tema di standard democratici?



Le ragioni



Secondo Agata Gostyńska-Jakubowska, del Centre for European Reform, sono quattro le ragioni d’un simile atteggiamento: primo, Viktor Orbán portò avanti il proprio cammino riformatore in un’epoca in cui l’Europa intera era alle prese con una pressante crisi economica; una crisi ancora attuale e che fa di certo sentire i suoi effetti, ma la Commissione guidata da Juncker sembra oggi più orientata alla protezione dello stato di diritto all’interno dell’area UE di quanto lo fosse, in passato, la Commissione Barroso.

Secondo, Fidesz, il partito di Orban, può contare su di una rete di alleanze politiche ben più influenti di quanto possa godere il PiS, al governo in Polonia; non va dimenticato, infatti, che Fidesz è parte integrante del Partito Popolare Europeo (PPE), il gruppo politico più numeroso in seno al Parlamento stesso; un gruppo, tuttavia con soli 30 seggi di vantaggio rispetto ai rivali socialisti, cosa che rende necessario, per il PPE, poter contare proprio sul supporto dei 12 seggi detenuti da Fidesz.

Terzo, la Commissione ha, in questi anni, imparato diverse lezioni dal tentativo operato in passato (e fallito) di mettere Orbán alle strette, come accaduto nel 2012, in merito al caso del pensionamento forzato di ben 274 giudici ungheresi, rimpiazzati da Orbán con personale più fedele al partito. Sebbene si trattasse di una disposizione in aperta violazione delle leggi europee, continua la Gostyńska-Jakubowska, Orbán all’epoca si limitò a una semplice compensazione nei confronti dei giudici dimessi, piuttosto che di un vero e proprio ripristino delle loro funzioni, di fatto rispettando la sentenza emessa per l’occasione dalla Corte di Giustizia Europea, ma non l’evidente intenzione della stessa. Una circostanza, questa, resa possibile dal mancato ricorso proprio all’articolo 7 del TEU, ideato per minacciare quel paese membro in aperta violazione dei principi comunitari con la sospensione del diritto di voto in sede comunitaria.

Infine, da un recente sondaggio condotto dalla Commissione Europea, è emerso che la Polonia risulta essere fra i più ferventi sostenitori dell’Unione Europea, con il 55% dei propri cittadini assolutamente favorevoli all’amministrazione di Bruxelles. Ciò significa che la Commissione, potendo contare su un simile bacino di preferenze, potrebbe esser stata indotta a ritenere che un proprio intervento nelle politiche interne polacche possa avere ripercussioni differenti (meno aspre) rispetto a ciò che scatenerebbe in un paese come l’Ungheria, dove solo il 37% dei cittadini vede di buon occhio le istituzioni europee.

Le conseguenze



Al momento, a prevalere, sembra essere la via delle trattative: in un tentativo dell’ultimo momento, infatti, il vice-presidente della Commissione UE Frans Timmermans ha incontrato, in data martedì 24 maggio, il premier polacco Beata Szydlo, affermando che nella giornata del 25 maggio, ultimo giorno dell’ultimatum lanciato da Bruxelles in merito alla questione d’una ipotetica violazione degli standard democratici dell’Unione da parte polacca, non verrà presa nessuna decisione al riguardo da parte del Collegio dei Commissari chiamato a esprimersi sulla materia.
Lo stesso portavoce dell’esecutivo comunitario Margaritis Schinas, in una sua conferenza stampa, ha sostenuto che nella data del 25 maggio «non bisogna aspettarsi che succeda nulla a parte un punto della situazione sulla visita odierna».
Eppure, poche ore dopo è giunto un duro affondo da parte del Ministro degli Esteri polacco Witold Waszcykowski il quale, prima dell’inizio del Consiglio UE, ha affermato seccatamente che «questa non è l’Unione né il tipo di membership che abbiamo concordato».

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