Il furto del fuoco agli dei da parte di Prometeo, l’ambizione dell’uomo di andare oltre, di elevarsi. Questo simboleggia ogni quattro anni l’accensione della fiamma olimpica al tempio di Era di Olimpia, e il suo viaggio fino al sito dei Giochi Olimpici. La fiamma olimpica di Rio 2016 è stata accesa il 21 aprile, ma la sua tappa simbolica più importante è stata quella del 26 aprile: il sacro fuoco di Olimpia ha attraversato il campo profughi di Eleonas, nella periferia ateniese, in mano a un rifugiato siriano.
Negli ultimi mesi il Comitato Olimpico Internazionale ha dimostrato particolare attenzione alla questione dei rifugiati. Una questione che ha spesso riguardato da vicino anche gli stessi Giochi Olimpici. Nel 1956 le Olimpiadi di Melbourne, tenute una manciata di settimane dopo che i carri armati avevano soffocato nel sangue l’insurrezione antisovietica di Budapest, 44 dei 108 atleti della delegazione ungherese non fecero ritorno in patria. Ad Atlanta 1996 quasi tutta la squadra femminile di pallacanestro dell’allora Zaire fece perdere le proprie tracce per fuggire al regime di Mobutu. Anche quattro anni fa a Londra 2012 le Olimpiadi sono state l’occasione per la fuga di alcuni atleti: sette camerunensi, tre sudanesi, quattro congolesi, tre ivoriani, tre guineani e quattro eritrei – tra cui il portabandiera Weynay Ghebresilasie, specialista dei 3000 siepi.
Non solo il presidente del CIO Thomas Bach ha proposto il passaggio della fiaccola olimpica da Eleonas in mano a un tedoforo rifugiato, ma l’ente ha anche annunciato l’istituzione di una nazionale rifugiata. In maniera meno retorica e pretenziosa di tanti altri annunci fatti in passato dai membri del CIO, il presidente onorario Jacques Rogge ha sottolineato: «Lo sport non è la soluzione, ma può dare un grande contributo. Lo sport può curare molte ferite. Lo sport può portare loro speranza, può aiutarli a dare forma alle loro idee e a integrarli nella società. E infine, porta loro speranze e sogni».
La Refugee Olympic Athletes, come spiega Alessandro Oliva su Linkiesta, «verrà trattata come una qualunque altra nazionale. […] Come vessillo adotterà la bandiera olimpica (sfondo banco con cinque cerchi), così come userà l’inno olimpico per le eventuali cerimonie di consegna di medaglia ad uno dei suoi atleti». La selezione tra 43 potenziali candidati dovrebbe portare all’istituzione di una squadra compresa tra i cinque e i dieci atleti. Tra i papabili Massimo Brignolo di Memorie di Olimpia individua la diciottenne nuotatrice siriana Yusra Mardini, che ha raggiunto la Germania attraverso la via balcanica e la judoka della Repubblica Democratica del Congo Yolande Mabika, fuggita con il compagno di squadra Popole Misenga in occasione dei Mondiali di Rio nel 2013 (un altro judoka congolese, Cedric Mandembo, figurava tra i defettori delle Olimpiadi del 2012). Più incerta la partecipazione di Raheleh Asemani, specialista del taekwondo iraniana, recentemente naturalizzata dal Belgio dove lavora come postina.
«I miei occhi guardano solo avanti, non posso pensare al passato. Se ricordo tutte quelle cose alle mie spalle, questo mi rallenterà». Sono parole di Ibrahim al-Hussein, il tedoforo che ha ricevuto la fiaccola dal presidente del comitato olimpico greco Spiros Kapralos e l’ha portata attraverso il campo profughi di Eleonas, novello Prometeo. Guardare avanti e mettersi il passato alle spalle è una necessità per lui, un nuotatore siriano che ha perso parte della gamba sotto le bombe e che è approdato all’isola greca di Samos nel 2014 dopo aver attraversato l’Egeo a bordo di un gommone.
Ora Ibrahim, contrariamente a molti altri rifugiati, ha deciso di stabilirsi in Grecia. Ha una protesi che toglie per nuotare e, invece di allenarsi nelle acque dell’Eufrate lo fa, tre volte a settimana, presso il complesso olimpico di Atene. A questo aggiunge cinque allenamenti settimanali con una squadra di pallacanestro su sedia a rotelle e turni di lavoro notturni da dieci ore in un bar. Nuota i 50 metri a stile libero in 28 secondi, meno di tre secondi in meno rispetto ai suoi tempi da atleta normodotato, e punta a stabilire un nuovo record ai Giochi Panellenici per atleti con disabilità il prossimo giugno. Con la determinazione di chi guarda sempre avanti e non ha mai usato il verbo al passato nel pronunciare la frase: «Sono un atleta forte».
«Porto la fiaccola per me stesso, ma anche per i siriani, per i rifugiati ovunque siano, per la Grecia, per lo sport, per le mie squadre di nuoto e basket. Il mio obiettivo è di non arrendermi mai. Ma di andare avanti, di andare sempre avanti. Ed è questo che posso ottenere attraverso lo sport».
Immagine: Hellenic Olympic Committee (Facebook)